LA BRAMA DELL'AVARO
Il mare non si riempie mai, pur ricevendo un gran numero di fiumi; allo stesso modo, la brama dell'avaro non si sazia di ricchezze: sono duplicate, ed ecco che desidera che ancora raddoppino, e non smette mai di raddoppiarle, finché la morte non lo sottrae a questa interminabile preoccupazione.
(Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità 8)
AMORE PER IL DENARO
La quarta passione, quella dell'avarizia, è designata da Evagrio col termine philarghyría, che significa letteralmente «amore per il denaro»; già i padri l'hanno però intesa come riferita più in generale al rapporto dell'uomo con le cose. Infatti il denaro è un simbolo, è misura e valutazione delle cose, è il regolatore simbolico negli scambi, che rende le cose merci e i rapporti mercato1.
Prima di analizzare più da vicino questa passione, mi pare importante osservare un dato che deve far riflettere: se la tradizione ha inteso l'avarizia quale vizio privato, va riconosciuto che negli ultimi secoli, almeno in occidente, essa ha assunto il volto di stile economico-sociale collettivo, al punto che è lecito chiedersi se essa oggi non sia piuttosto ritenuta una pubblica virtù, in quanto fonte di una vita soddisfacente, segnata dal benessere. Non solo, oggi una persona per molti vale in base a ciò che guadagna o possiede, sicché il denaro è assurto a metro di stima e di valutazione del singolo. Avendo assunto questo modo di valutare la realtà e le persone, siamo divenuti ciechi, incuranti del fatto che il 20% dell'umanità consuma ormai l'80% delle risorse disponibili...
Approfondendo quanto si è detto a proposito della libido possidendi, possiamo notare che l'avarizia è una brama disordinata che si manifesta come bisogno impellente dell'avere, come smania insaziabile di accumulare beni: lo stesso sguardo che si posa sul cibo o sul corpo altrui può essere posato anche sulle cose. Il possesso è avvertito come necessità assoluta e tutto è predisposto per giungere a questo scopo, senza tenere minimamente conto di alcun limite, a partire da quello costituito dagli altri.
L'avarizia è un vizio che si insinua lentamente nel cuore dell'uomo: si inizia con il trattenere per sé ciò che può essere condiviso con altri; si prosegue con l'accumulare senza mai essere soddisfatti; ciò provoca una crescente inquietudine, la quale a sua volta genera l'ossessione dell'aumento del possesso.
«TUTTO E SUBITO»
La logica che muove i comportamenti dell'avaro è quella mortifera del «tutto e subito», sempre più devastante e ossessiva; quella dell'avere diviene progressivamente una vera e propria schiavitù, fonte di una preoccupazione permanente per conservare ciò a cui ci si aggrappa come unica ragione di vita e, insieme, aumentare ciò che si è acquisito: si aumenta per
conservare e si conserva per aumentare... Tutto questo è descritto con finezza psicologica da Gregorio Magno:
L'avaro aspira innanzitutto ad accumulare le cose desiderate; poi, quando ha ammassato tante cose, per così dire, nel ventre dell'avarizia (cf Gb 20,20), una volta saziato si tormenta; quando infatti cerca ansiosamente come conservare i beni accumulati, la sua stessa sazietà lo angustia ... L'anima dell'avaro, che prima cercava riposo nell'abbondanza, è poi travagliata da una pena più grande per conservarla2.
Umberto Galimberti definisce l'avaro un «condannato a una vita ascetica»3, nel senso di mortificata: un autocondannato. L'avaro è un de-creatore, perché storna i beni dalla loro destinazione e dal loro uso: li accumula, li conserva per sé, li sottrae agli altri. In una splendida omelia, non priva di una certa ironia, Basilio mette in luce l'assurdità del comportamento dell'avaro:
Lo splendore dell'oro ti procura grande piacere, ma non senti quanto è forte il grido del povero dietro a te? ... Sei inflessibile e implacabile. Vedi oro dappertutto, sogni oro, lo sogni dormendo e lo desideri quando sei sveglio ... E' più facile che tu ti accorga dell'oro che non del sole che splende ... Che cosa non inventi per accumulare oro? ... Ma quale vantaggio ti portano queste ricchezze che poi tieni al chiuso? ... I ricchi sono simili a chi, andato a teatro, vuole impedire l'accesso agli altri che vogliono entrare, ritenendo riservato a lui solo ciò che è offerto a tutti4.
E così il godimento dell'avaro è la previsione di godere nel futuro, ma poi questo futuro è costantemente rimandato... è come accumulare tante bottiglie di vino prelibato e prezioso … e non gustarne mai il sapore!!
Avarizia, cupidigia, attaccamento ai beni e al denaro generano una sorta di identificazione con ciò che si possiede, al punto che perdere qualcosa dei propri averi equivale a perdere qualcosa di se stessi. Chi è preda di questa malattia giunge fino a considerare la dimensione dell'avere come prevalente su quella dell'essere: «sono ciò che ho», questo è il suo tragico motto. In un certo senso aveva ragione Feuerbach: noi diventiamo ciò che mangiamo … ciò che possediamo.
Se non si lotta contro tale ossessione, essa perverte i nostri desideri, mai soddisfatti, sempre più prepotenti e seducenti; questi fantasmi finiscono per possedere il nostro cuore, gli impediscono la pace e la gioia, lo conducono alle soglie della depressione: «al mare non mancheranno mai le onde, né all'avaro l'ira e la tristezza»5. Francesco d'Assisi, si badi bene, ha chiamato il denaro «sterco del demonio»6 proprio perché in ogni azione compiuta dall'avaro c'è la puzza del denaro.
UN MALE SOCIALE
Ma perché questa brama di possesso, questa voracità di denaro e di beni seduce tante persone, al punto che nell'odierna società opulenta occidentale possiamo sentirla come un male dell'anima diventato diffuso, come un male sociale?
Certamente perché siamo diventati preda di un'ideologia sociale che vuole assicurarci, garantirci il domani: regna una paura del domani, che chiede di accumulare beni e denaro per far fronte alle incertezze, alle possibili malattie, all'eventuale solitudine, alla debolezza che abbisogna di aiuto altrui. Ecco allora sorgere il pensiero: se ci saranno soldi, allora si potranno meglio affrontare tutte queste eventualità negative... L'insicurezza del domani appare compensata dai beni posseduti e così si scatena una bulimia dell'avere. Evagrio illustra bene le condizioni psicologiche connesse all'avarizia:
L'avarizia fa intravedere una vecchiaia lunga, la debolezza delle mani nel compiere lavori, la possibilità della fame e di future malattie, le sofferenze dovute alla povertà, e fa intravedere quanto sarà avvilente ricevere dagli altri ciò che dovrà servire alle proprie necessità7.
Eppure la tradizione cristiana dei padri giudica il vizio del possedere addirittura contro natura. Scrive, per esempio, Cassiano: «L'avarizia non è propria della natura dell'uomo ... Essa è estranea alla natura umana»8. Annota Giovanni Crisostomo:
Il «mio» e il «tuo», queste parole fredde che introducono nel mondo infinite guerre, erano state eliminate dalla santa chiesa nascente (cf At 2,42-45; 4,32-35; 5,12-16) ... I poveri non invidiavano i ricchi, perché non c'erano poveri, essendo tutte le cose comuni9 ... «Mio» e «tuo» non sono altro che parole prive di fondamento reale10.
L'avarizia è un insulto fatto ai poveri, a quelli che non possiedono nulla; è un furto in atto e, a ben vedere, anche una violenza fatta alla terra stessa, che in nome di questa brama del «mai abbastanza» è sfruttata e violentata... L'aveva già compreso Alano di Lilla, un teologo del XII secolo, quando affermava:
Uomo, ascolta cosa dicono contro di te gli elementi della natura e soprattutto la terra, tua madre. Perché ingiuri tua madre? Perché fai violenza a me che ti ho partorito dalle mie viscere? Perché mi tormenti con l'aratro per farmi rendere il centuplo? Non ti bastano le cose che ti do spontaneamente, senza che tu me le estorca con la violenza?11
Parole che sentiamo contemporanee, che possono essere aggiornate nei nostri tempi di globalizzazione, di impero del dio mercato, di sfruttamento di una terra sempre più esausta...
FIDARSI DI DIO NON DI MAMMONA
Anche le radici della pulsione dell'avarizia affondano certamente nell'inconscio e risalgono all'età infantile. Nessun determinismo però in tale constatazione: l'avarizia può e deve essere affrontata e ordinata, perché in caso contrario rischia di accompagnare e definire tutta la vita. È in questo senso che Paolo ha potuto scrivere: «L'avarizia è la radice di tutti i mali» (1Tm 6,10). Il cuore di ogni uomo può infatti conoscere quanto è fascinoso il denaro, e quindi può conoscere questa malattia del ripiegamento, della «fissazione» sull'avere, che impedisce la comunicazione, lo scambio, la capacità di donare e di ricevere.
Se Gesù ha detto: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35), ciò significa che vi è ancora meno gioia nell'accumulare per sé.
Sì, chi è posseduto dalla passione della philarghyría pone nei beni il suo cuore – «là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,21; cf. Lc 12,34) – e così lo sottrae allo spazio vero dell'amore: l'incontro e la comunione con i fratelli e le sorelle. E questa è, ancora una volta, idolatria (cf Col 3,5), perché implica un'adesione fiduciosa a ciò che si possiede piuttosto che a Dio: «attratti sfrenatamente dall'avarizia, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori» (1Tm 6,10). Si comprendono dunque i precisi avvertimenti di Gesù contro il denaro, che egli addirittura personifica qualificandolo come un dio, come fanti-Dio:
Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona (Mt 6,24; cf. Lc 16,13).
Anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni (Lc 12,15).
In realtà l'accumulo di beni diventa un peso per il credente, ne rallenta la corsa verso il Regno, come quella di «una nave sovraccarica che facilmente affonda nella tempesta»12. Questo vizio mina anche i rapporti con gli altri: l'avaro si isola, non solo perché non condivide, ma perché accumula nella volontà di non dipendere da nessuno. L'avarizia è ricerca di un domani egoistico e garantito, un domani in cui bastare a se stessi, in cui gli altri sono esclusi di fatto dal nostro orizzonte... E così si finisce per mettere la propria fiducia nel possedere, nell'accumulare.
È questo che Gesù intendeva quando affermava l'impossibilità di «servire a Dio e a mammona», utilizzando una parola («mammona») che ha nella sua radice proprio il verbo «aderire con fiducia» (aman). Del resto, non è significativo che nel nostro linguaggio vi siano espressioni come «credere negli investimenti», «avere fiducia nel mercato»? Chi ha fede nel denaro, nei beni, nella «roba», è un idolatra che sostituisce la fede nel Signore con una fede nella ricchezza. È così! Sì, «l'avarizia è idolatria» (Col 3,5): è figlia della mancanza di fiducia in Dio, che ci ha chiesto di non preoccuparci del domani (Cf Mt 6,25-34), lui che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (cf. Mt 6,25).
CONDIVIDERE I BENI
Qual è l'antidoto all'avarizia? È in primo luogo la conversione dei desideri, ossia l’esercizio per giungere a recidere alle radici la brama di possesso e a ristabilire il primato dell'essere sull'avere13. L'avarizia non è infatti una questione di quantità di beni posseduti, ma di disposizione del cuore: lo sanno bene i monaci, che, pur non possedendo nulla di proprio, sono costantemente tentati di trattenere per sé quante più cose possono, oppure – quel che è peggio – di attaccarsi con tutte le loro forze a piccoli e insignificanti oggetti...
Il frutto concreto di tale disposizione interiore sarà poi la rinuncia materiale, in obbedienza a una parola esigente di Gesù, colui che «da ricco che era si fece povero per noi» (cf. 2Cor 8,9): «Chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo» (Lc14,33). Occorre scegliere di rinunciare, prima che ci costringa a farlo, troppo tardi, la vita stessa. Occorre soprattutto condividere il denaro, i beni: è questo il vero mezzo per uscire da se stessi, dal proprio isolamento, e per farsi degli amici. Come diceva Gesù: «Fatevi degli amici con la ricchezza nella quale confidate (mammona) ... e questi vi accoglieranno nelle dimore eterne» (cf. Lc 16,9).
Va detto con risolutezza: la condivisione fraterna è il vero nome della povertà cristiana! Chi infatti si esercita a condividere, conosce sempre di più la gioia che si sperimenta nel donare e nel vivere la comunione, a partire da quella dei beni; e una volta gustata questa gioia, non può più farne a meno.
L'AVARIZIA SECONDO I PADRI DELLA CHIESA
[Abba Isidoro] disse: «Non puoi vivere secondo Dio se ami i piaceri e il denaro».
Detti dei padri del deserto, Collezione alfabetica, Isidoro il Presbitero 3
Fu chiesto [ad abba Isaia]: «Cos'è l'amore del denaro?». Rispose: «È non credere che Dio si prenderà cura di te, disperare delle sue promesse e avere manie di grandezza».
Detti dei padri del deserto, Collezione alfabetica, Isaia di Scete 9
Amena Eugenia diceva: «Per noi è bene mendicare e stare soltanto con Gesù, perché chiunque si trova con Gesù è ricco anche se è povero quanto a ricchezze materiali. Chi preferisce i beni materiali a quelli spirituali perderà gli uni e gli altri. Chi desidera i beni del cielo otterrà tutti i beni della terra».
Detti dei padri del deserto, Collezione anonima, N 447
Un anziano disse: «Se possiedi un arnese, un coltello, una zappetta o qualche altra cosa e vedi che il tuo pensiero vi si attacca, gettala via lontano da te per insegnare al tuo pensiero a non attaccarsi a nient'altro se non al Cristo solo».
Detti dei padri del deserto, Collezione anonima, N 592/17
Quel che ci rovina non è il fatto di possedere, ma il fatto di restare attaccati a ciò che possediamo.
Zosima, Colloqui 15
Quando entro nella casa di un uomo ignaro del bene e arricchito di recente e vedo che questa casa è colma di ogni genere di ornamenti, capisco che quell'uomo non possiede niente di più prezioso di ciò che vedo, abbellisce oggetti privi d'anima, ma la sua anima la lascia disadorna. Dimmi, quale uso particolare adempiono i tuoi divani e i tuoi tavoli d'argento, i tuoi letti e le tue sedie d'avorio tanto da impedire alla ricchezza di passare nelle mani dei poveri, anche se alla tua porta ve ne sono a migliaia che levano gemiti? Ma tu ti rifiuti di dare, affermando che è impossibile esaudire quelli che chiedono. A parole lo giuri, ma sei accusato dalla tua stessa mano; la tua mano, pur tacendo, annuncia la tua menzogna poiché su di essa brilla un anello con una pietra preziosa. Quanti debiti potrebbe pagare quest'unico tuo anello? Quante case pericolanti potrebbe riparare? Il tuo guardaroba potrebbe vestire un intero popolo intirizzito e invece osi rimandare via il povero a mani vuote senza temere il giusto castigo del giudice. Non hai avuto misericordia, non ti sarà fatta misericordia; non hai aperto la tua casa, sarai scacciato dal regno; non hai dato il pane, non riceverai la vita eterna!
Dici di essere povero e sono d'accordo con te. È povero chi manca di molte cose. I desideri insaziabili vi fanno poveri di molte cose. Ai dieci talenti cerchi di aggiungerne altri dieci; se diventano venti, ne ricerchi altrettanti, e sempre il guadagno non sazia il tuo desiderio ma ti accresce la voglia. Gli ubriachi più bevono e più sono spinti a bere, così anche quelli che si sono arricchiti di recente: hanno acquistato molti beni, desiderano ancor di più, e alimentano la loro malattia con l'aumentare costante dei loro averi e questo affanno si rivolge contro di loro. Non li rallegrano, infatti, tutti quei beni che possiedono, per quanto grandi, ma li rattrista quello di cui mancano, quello di cui suppongono di mancare, e così sono sempre in preda all'affanno, in lotta per avere di più. Dovrebbero rallegrarsi e ringraziare per il fatto di essere più ricchi di tanti altri e invece si inquietano e soffrono perché sono superati dall'uno o dall'altro più ricco di loro.
Basilio di Cesarea, Omelia VI, Contro i ricchi 4-5
Perché, o uomo, accumuli oro? Perché ti procuri una schiavitù più amara? Una prigionia più dura? Perché ti prepari una preoccupazione più acuta? […] Non hai sentito parlare del proverbio che dice che neppure cento uomini insieme possono mai spogliare chi è povero e nudo? Egli infatti ha il più grande difensore: la povertà, che neppure lo stesso re potrebbe sottomettere e conquistare.
Tutti invece mettono in angustie l'avaro. Ma perché parlare degli uomini, dal momento che tignole e vermi fanno la guerra a un uomo così? Ma che dico, le tignole? Basta soltanto un lungo periodo di tempo, anche se non lo molesta nessuno, a procurargli grandissimi danni. Qual è dunque il piacere della ricchezza? Io ne vedo gli aspetti spiacevoli; tu parlami del piacere che ne deriva. Ma quali sono – si potrebbe replicare – gli aspetti spiacevoli? Le preoccupazioni, le insidie, le ostilità, l'odio, la paura, avere sempre sete di essa ed essere in affanno. Se uno abbraccia la fanciulla amata, ma non può soddisfare il suo desiderio, soffre il più grande tormento.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul vangelo di Matteo 83,2-3
A proposito dei vestiti, non desiderare di averne in eccesso, ma accontentati di provvedere a quel che basta alle necessità del corpo. Anzi, getta sul Signore il tuo affanno, ed egli provvederà per te (cf. Sal 55,23).
Evagrio Pontico, Ragioni delle osservanze monastiche 4
Invece che limitarci ai bisogni indispensabili, perseguiamo la sazietà che è nociva alla vita e ci attacchiamo a ogni genere di possesso, senza renderci conto che la misura del possedere è il bisogno del corpo, e che ciò che va oltre tale misura non è più bisogno ma disordine. Come, infatti, una veste fatta a misura del corpo è utile e decorosa, ma quella che cade giù da ogni parte, s'impiglia nei piedi e striscia per terra, oltre ad essere indecente, diventa anche un impedimento per qualunque tipo di attività, così anche il possedere più di quanto serva ai bisogni del corpo è un impedimento per la virtù ed è gravemente condannato da chiunque sia in grado di scrutare la natura delle cose ... È bene dunque mantenersi nei limiti del bisogno e lottare con tutte le forze per non superarli, perché, se uno si lascia portare un po' più in là, attirato dalle dolcezze della vita, non c'è ragione poi che possa trattenerlo dal procedere oltre. Di ciò che eccede il bisogno, infatti, non c'è limite, ma la smania interminabile e la vanità senza fine spingeranno a faticare sempre di più per tali cose, alimentando continuamente il desiderio, come una fiamma cui si aggiunge legna.
Nilo di Ancira, Discorso ascetico 68-69
Tre sono le cause dell'amore per le ricchezze: l'amore per i piaceri, la vanagloria e la mancanza di fede; ma più grave delle prime due è la mancanza di fede.
Massimo il Confessore, Centurie sulla carità 3,17
Le cose e i beni che sono in questo mondo sono comuni a tutti, proprio come la luce e quest'aria che respiriamo, o anche il pascolo degli animali senza ragione nelle pianure e sulle montagne. Tutte le cose, dunque, sono per natura comuni a tutti, per quel tanto che serve a goderne, senza che però nessuno ne abbia il dominio. È stata la cupidigia, lei che è entrata come una tiranna nella nostra vita, a suddividere in un modo o nell'altro, per mano dei suoi schiavi e servitori, ciò che era stato dato a tutti in comune dal Signore: chiudendo tutto entro recinti, assicurandolo con torri, sbarre e porte, ha privato tutti gli altri uomini dei beni del Signore, dicendo spudoratamente di esserne la padrona e pretendendo di non fare assolutamente alcun torto a nessuno. Quanto poi ai servi e agli schiavi di questa tiranna, ciascuno di loro diventa a turno non il padrone delle cose e delle ricchezze accumulate, ma uno schiavo malvagio (cf. Mt 25,26) e un guardiano.
Simeone il Nuovo Teologo, Catechesi 9,92-116
1 Cf. E. Bianchi. «Verae divitiae: la vera ricchezza», in I. Dionigi (a cura di), Il dio denaro, BUR, Milano 2010, pp. 13-21.
2 Gregorio Magno, Commento morale a Giobbe XV,26.
3 U. Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 20055, p. 45.
4 Basilio di Cesarea, Omelia sesta (Homilia in illuda «Destruam horrea mea») 4-5.7 (PG 31,268.270.272.276).
5 Giovanni Climaco, La Scala XVI,18.5
6 Cf Tommaso da Celano, Vita seconda di san Francesco 11,65.
7 Evagrio Pontico, Trattato pratico 9.
8 Cassiano, Conferenze V,8.
9 Giovanni Crisostomo, Sulle parole di Paolo: «E' necessario che avvengano divisioni tra di voi» (1Cor 11,19) (PG 51,255).
10 Id., Omelie sulla Prima lettera ai Corinzi 10,3 (PG 61,85).
11 Alano di Lilla, Summa de arte praedicatoria 6.
12 Evagrio Pontico, Gli otto spiriti della malvagità 7
13 Sul tema cf il celebre saggio di E. Fromm, Avere o essere?, Mondadori, Milano 1996.