Forse abbiamo una fede eccessiva nella Provvidenza. E, a volte, la scambiamo per un’assicurazione a copertura totale o una sorta di ombrello protettivo da ogni genere di rischio. Ma non è così. E purtroppo in queste ultime settimane la cronaca ci ha messo di fronte alla realtà di tragici incidenti accaduti durante campi e oratori estivi. Costati addirittura la vita ad alcuni bambini, annegati o caduti in pozzi.
Di fronte a questi drammatici eventi, allora, una riflessione si impone su come organizziamo queste attività, educative per i ragazzi e di supporto alle famiglie. Non si tratta di “gettare la croce” su qualcuno. Anzi, ancora una volta va riconosciuto con il giusto risalto da un lato appunto la funzione formativa svolta dalla Chiesa e, dall’altro, il ruolo fondamentale degli oratori, spesso uno dei pochi luoghi di socialità “sana” in molte parti del Paese. E, certo, le disgrazie possono capitare, sempre e ovunque, soprattutto quando l’attività è molto diffusa e partecipata.
Ma quando si vede, come accaduto nel caso di valle Stura, che a finire indagata per omicidio colposo per la morte di una bambina è una ragazza di appena 18 anni, responsabile dell’animazione parrocchiale, non si può non domandarsi se sia giusto addossare la responsabilità della custodia di tanti bambini a una persona così giovane. A una ragazza che sta ancora frequentando le scuole superiori e non ha né titoli né esperienze né forse la maturità adeguata per svolgere un compito così gravoso e importante. Beninteso: non è lei che non è “giusta”, non è “giusto” chiederle così tanto.
I grest, i campi, le vacanze comunitarie con i bambini sono, come dicevamo, un servizio insostituibile, che però probabilmente occorre ripensare aggiungendovi un “di più” di professionalità, di responsabilità, di sicurezza e di impegno da parte degli adulti. Le attività degli oratori estivi, infatti, rappresentano un’occasione doppiamente educativa: tanto per i bambini coinvolti quanto per gli adolescenti-animatori che fanno così le loro prime esperienze di cura dei più piccoli, imparano a misurarsi con le diversità e a valorizzare l’unicità di ogni persona.
Ma questo percorso di crescita, che fa maturare tanti ragazzi, va ben guidato sia sul piano dei contenuti che degli aspetti pratici. Non va forzato né si può pretendere che a 16 anni – l’età media degli animatori – si sia sempre in grado di valutare in maniera corretta le situazioni, di essere costantemente presenti a sé stessi, di assumersi tutte le necessarie responsabilità di cura dei più piccoli.
Al contrario, bisogna mettere in conto che per gli adolescenti è facile distrarsi, finire per fare gruppo con i coetanei anziché badare ai bambini con i proverbiali “100 occhi” indispensabili. Perciò è necessario che – oltre alla guida “spirituale” dei sacerdoti – gli oratori investano pure nell’affidamento dell’organizzazione a una figura professionale, vengano coinvolti anche giovani più grandi e soprattutto si chieda uno sforzo di maggiore presenza e responsabilità ai laici adulti.
Le difficoltà delle parrocchie sono molte. Non solo quelle economiche, per riuscire a offrire comunque un servizio fondamentale a tante famiglie con pochi mezzi. Quanto soprattutto la fatica di tenere vivo un tessuto di impegno (cristiano e sociale) in comunità che oggi tendono più verso la disgregazione e l’individualismo e in cui i ritmi di lavoro sono pressanti per tutti.
Ma quanto più abbiamo a cuore la sorte dei nostri ragazzi, e il compito educativo della Chiesa, tanto più occorrerà coinvolgerci e responsabilizzarci come adulti. Tutti dobbiamo sentirci “chiamati” a questo compito importante. Evitando di lasciarne gli oneri esclusivamente sulle spalle di preti novelli e di adolescenti, che invece hanno il diritto di vivere la loro età senza il peso di responsabilità improprie.
FRANCESCO RICCARDI
su: Avvenire 28/07/2024