«Buongiorno, da mamma di un ex animatore di oratorio sono rimasta basita nell’aver letto sui media gli sviluppi relativi alla tragedia in cui è morta una bambina in piscina mentre si trovava in gita con l’oratorio. Tra gli indagati compaiono un’animatrice maggiorenne (unica maggiorenne del gruppo cui apparteneva la bambina), per cui mi domando: ma un genitore manda il proprio figlio a fare volontariato in oratorio e se lo ritrova a 18 anni con un’accusa penale? Tralascio il discorso civile per cui mi auguro che l’oratorio avesse l’assicurazione, ma il penale? Mio figlio per fortuna in piscina come accompagnatore non è mai voluto andare, a questo punto col senno di poi anche se avesse voluto non l’avrei proprio mandato. Molto meglio tenere i figli a casa piuttosto che esporli a rischi e situazioni per cui possono rovinarsi la vita mentre stanno facendo volontariato». Nada
(risponde Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta, 4 figli)
Cara Nada, penso che di fronte a una morte accidentale sia inevitabile che tutti gli adulti presenti nel momento dell’evento avverso debbano essere iscritti nella lista degli indagati. Non credo che sia stata sporta denuncia dalla famiglia. Utilizzo, però, il tuo messaggio per fare una riflessione allargata.
Di questi tempi, qualsiasi cosa coinvolga i figli viene vista non nell’ottica delle opportunità che permette di perseguire, bensì in quella del rischio che essa può rappresentare. Diventa, perciò, conclusione comune assumere lo stesso punto di vista che tu dichiari nella tua mail: piuttosto che trovarmi un figlio che ha sulla testa una possibile condanna penale per un reato che non ha mai commesso, meglio tenerlo a casa e lasciare che non si coinvolga in nulla.
Questo approccio, però, quello che vede sempre più ragazzi e ragazze trovarsi ingabbiati nelle loro stanze, perché rinunciatari nel lasciarsi coinvolgere in attività di volontariato in cui “mettersi in gioco” comporta inevitabilmente trovarsi anche coinvolto in qualche rischio potenziale. Questa è una società in cui l’approccio evitante verso situazioni in cui può avvenire qualcosa di inaspettato e spiacevole è sempre più frequente.
Così ci sono sempre più genitori che adottano modalità iperprotettive nei confronti dei propri figli. Come adulti andiamo alla ricerca di esperienze a rischio zero per chi sta crescendo. Ma questo comporta farli crescere fragili e inevitabilmente ansiosi, perché non avendoli abituati a confrontarsi con le sfide della vita, quando esse compaiono li trovano inadeguati e spaventati, incapaci di farvi fronte.
Lo spiega benissimo Jonathan Haidt nel libro La generazione ansiosa (Rizzoli ed.), un best seller mondiale in cui il mondo adulto viene invitato ad abbandonare l’approccio iperprotettivo con cui si limita l’autonomia e il potere d’azione di chi cresce e a far transitare di nuovo la vita dei giovanissimi nel mondo reale, in contrasto con l’abitudine sempre più frequente a fare tutto e spendere molto tempo nel mondo virtuale.