Pozo Amarillo, era un pozzo nel quale ai tempi del santo cadde un fanciullo. Il pozzo era profondo ma Juan vi gettò la sua cintura: l’acqua salì fino a permettere al piccolo di aggrapparsi ad essa e salvarsi.
Questo santo agostiniano è uno dei più zelanti predicatori che abbia mai avuto la Spagna. Nacque a Sahagun o San Facondo, nella diocesi di Leon (Asturie) dalla nobile famiglia dei Gonzàles. La loro unione era stata resa feconda, dopo 16 anni di sterilità, per intercessione di Maria SS., che avevano pregato in un santuario delle vicinanze del paese e in onore della quale avevano fatto elemosine e digiuni. Giovanni fin dall’infanzia si mostrò schivo dei giochi e della compagnia dei coetanei, ma molto propenso a prendere parte alle funzioni in parrocchia. Per questo i genitori lo affidarono all’educazione dei Benedettini, che Alfonso III il Grande, re di Leon, aveva voluto presso la chiesa di San Facondo.
Alla loro scuola Giovanni studiò con frutto la filosofia e la teologia. Al termine del corso egli fu costretto dal padre, benché ancora giovane, ad accettare il beneficio di Dormilo su cui aveva un diritto di patronato. Siccome però non poteva soddisfarne gli obblighi, dopo un po’ di tempo il Santo lo scongiurò, per delicatezza di coscienza, a esonerarlo. A ventun anni il padre lo presentò al vescovo di Burgos, Alfonso di Cartagena, che lo fece canonico della cattedrale e gli conferì altri benefìci. Giovanni si mostrò allora tanto generoso verso i poveri che fu accusato di dissipare i beni di cui aveva l’amministrazione. La calunnia servì soltanto ad aumentare la stima che il vescovo aveva concepito del suo canonico. Lo volle ordinare sacerdote nonostante le esitazioni e gli scrupoli di lui.
Benché non amasse la corte del vescovo a causa del frastuono che vi regnava, Giovanni se ne compiaceva perché gli sembrava di trovare Dio nella sottomissione al capo della diocesi. Rimase presso di lui 6 anni, poi la morte dei genitori lo distaccò del tutto dalle comodità della vita e dallo spirito mondano. Chiese quindi al vescovo il permesso di ritirarsi a Salamanca.
Il Santo dapprima fu ricevuto (1450) nel collegio di San Bartolomeo, che era il seminario di tutta la Spagna. Dopo 4 anni di studio insegnò all’università e si diede al ministero sacro nella parrocchia di San Sebastiano con grande successo e consolanti frutti spirituali. Dimorava presso un canonico molto virtuoso che gli permetteva di darsi a grandi austerità. Dopo nove anni di fatiche e di macerazioni, Dio permise che fosse tormentato da dolorosissimi calcoli renali. Egli consentì a lasciarsi operare e fece voto di farsi religioso se ne fosse uscito sano e salvo. Appena fu in condizione di camminare per la città, gli si presentò un mendico a chiedergli l’elemosina. Di due abiti che aveva, Giovanni gli regalò il migliore. Nella notte fu favorito da Dio di una visione che gli riempì l’anima di un indicibile gaudio.
Il giorno dopo il Santo andò a bussare alla porta del convento degli Agostiniani. Essi lo ricevettero a braccia aperte (1463) perché era da tutti conosciuto per la scienza, l’eloquenza e soprattutto la santità. Durante il noviziato fece rapidi progressi nell’ubbidienza e nell’umiltà, e Dio gli concesse il dono dei miracoli. Essendogli stata affidata la cura del refettorio e della cantina, per sovvenire ai bisogni della numerosa comunità, moltiplicò con un semplice segno di croce, per diversi mesi, il vino di una botticella che non sarebbe potuto bastare più di una settimana.
Poco dopo la professione religiosa (1464) Giovanni fu eletto maestro dei novizi e quindi Definitore della Provincia, carica questa che gli fu rinnovata per sette volte di seguito, fino alla morte. Nessuno era più esemplare di lui nell’osservanza della Regola, nessuno era più diligente di lui nel farla osservare. Considerava difatti la più piccola infrazione ad essa come un’apostasia. Un giorno gli capitò di rimanere involontariamente in un luogo più di quanto il Priore gli aveva concesso. Giovanni ne provò una così grande afflizione che, in penitenza, ottenne di restarsene per due giorni chiuso in una stanza senza cibo e senza bevande.
Il santo fu pure nominato Priore del convento di Salamanca a due riprese, nel 1471 e nel 1477. Egli non comandò mai nulla di cui non avesse dato prima l’esempio. Nelle riprensioni usava una severità mista a tanta dolcezza che nessuno dei sudditi osava fargli resistenza. Possedeva l’arte del governo sia perché era molto sapiente e sia perché era profondamente umile. Si considerava il più miserabile di tutti gli uomini e riconosceva che le grazie straordinarie con cui Dio lo favoriva erano altrettanti rimedi accordati alla sua debolezza. Era così delicato di coscienza che sentiva il bisogno di confessarsi fino a tre volte il giorno non tollerando la più piccola infrazione alla virtù della giustizia. Il Priore gliene fece le rimostranze perché gli pareva che affaticasse inutilmente i confessori e desse cattivo esempio ai confratelli inducendoli a credere che commettesse numerose e gravi colpe. Dio concesse al suo servo un grado molto elevato di contemplazione, che gli faceva trascorrere intere notti nella dolcezza dell’estasi e talora rapito per aria. Dopo mattutino egli non tornava più a letto, ma si preparava alla Messa. Mentre la celebrava Gesù Cristo gli appariva di frequente più splendente del sole e gli concedeva, in familiari colloqui, sublimi conoscenze riguardo alla grandezza del divino sacrificio. Nel celebrarlo Giovanni impiegava d’ordinario due ore. Il Priore gli ordinò un giorno di essere più breve per evitare le lamentele dei fedeli. Il santo si sforzò di ubbidire, ma non gli riuscì. Per convincere il superiore della necessità di ridonargli la sua libertà fu costretto a manifestargli che, dopo la consacrazione, il Signore gli appariva sotto forma corporale e gloriosa. S.Tommaso da Villanova (+1555), vescovo di Valenza, dei carismi del suo confratello, S. Giovanni da San Facondo, faceva oggetto di predicazione, dopo la morte di lui, a edificazione del popolo cristiano.
Dalle comunicazioni con il Signore, derivava al santo una straordinaria forza di persuasione nella predicazione. Egli riprendeva il vizio ovunque lo scovava, senza guardare in faccia ad amici o a persone costituite in dignità. Non gli mancarono affronti e minacce di morte da parte di signori che si sentivano presi di mira per le loro usure e i loro vizi, o di signore che si sentivano biasimate per il lusso sfrenato e le quotidiane dissolutezze, ma Dio lo liberò dalle loro insidie finché la sua missione non fu terminata. Per ordine dei superiori Giovanni riprese l’opera pacificatrice che aveva già svolto nella città prima che si facesse religioso. In quel tempo Salamanca era perturbata da due fazioni opposte. Non passava giorno senza che scorresse sangue per le vie e che si facessero vendette persino davanti all’altare. Il santo moltiplicò la predicazione, le preghiere e le penitenze per riportare la pace tra i contendenti, ma inutilmente.
Alcuni sediziosi avevano avuto l’ardire di comparire armati nella chiesa in cui predicava la pace, pronti a suscitarvi risse. Un giorno, divorato dallo zelo per la casa di Dio, illuminato dallo Spirito Santo, con voce possente e profetica ammonì che chi avesse avuto l’ardire di mettere mano alla spada per eccitare il tumulto sarebbe morto all’istante. Uno dei più ostinati, sprezzante delle sue minacce, volle estrarre la spada dal fodero, ma il presuntuoso cadde a terra fulminato tra lo spavento generale. Quel pubblico castigo sortì l’effetto desiderato. A Salamanca, dopo anni di guerre, che tre re di Spagna avevano inutilmente cercato di fare cessare, fu ristabilita la pace. A ragione i cittadini scolpiranno sul sepolcro del santo dopo la sua morte: “Hic jacet per quem Salmantica non jacet”.
Il santo di Dio continuò a predicare contro i disordini che potevano provocare altre turbolenze: le ingiustizie sociali, il concubinato e il meretricio. Per ricondurre i peccatori sul retto sentiero non temette di andarli a scovare nei postriboli e ricordare loro la necessità di praticare la castità per salvarsi. Di questa angelica virtù il santo ne fu per così dire il martire. A Salamanca un signore viveva in modo scandaloso con una donna dissoluta. Soltanto Giovanni osò minacciare loro i divini castighi. L’uomo, tocco dalla grazia, si convertì; la donna, vistasi abbandonata, concepì un odio mortale contro lo scomodo predicatore e pare che sia riuscita a fare mescolare del veleno nel vino che gli sarebbe servito per la celebrazione della Messa.
Giovanni, che leggeva nei cuori e aveva il dono della profezia, un giorno annunciò pubblicamente che avrebbe cessato di vivere entro l’anno. Morì difatti a Salamanca l’11-6-1479 dopo avere sofferto con pazienza grandi dolori, e avere esclamato con fiducia: “Nelle tue mani, o Signore, raccomando il mio spirito”. Fu seppellito nella chiesa del convento.
Giovanni da San Facondo fu canonizzato da Alessandro VIII il 16-10-1690. Innocenzo X ne aveva confermato il culto il 28-9-1651. E’ raffigurato nell’atto di sorreggere il calice con la particela, a ricordo della sua straordinaria devozione verso l’Eucaristia, ed è invocato contro i calcoli renali dai quali egli stesso era stato guarito.
Autore: Guido Pettinati