VITA DI  NICOLA DA TOLENTINO scritta dal contemporaneo Pietro da Monterubbiano O.S.A. (Ordine di Sant’Agostino) e presumibilmente conclusa nel 1326

1. Dio glorioso nei suoi santi [1] – che quando li elegge alla gloria sempiterna si compiace di santificare e di magnificare non solamente la conclusione o la maturità, ma l’inizio stesso della loro vita [2] – volle un giorno onorare e magnificare con un’apparizione angelica la degnissima nascita del beato Nicola, sacerdote venerabile dell’Ordine degli Eremitani del beato Agostino, originario di Castel Sant’Angelo, nel distretto della città di Fermo, nella provincia della Marca Anconitana [3], volendo assumerlo alla corona della gloria e dell’onore della patria celeste [4]. Accadde dunque che non potendo sua madre Amata aver figli [5], ed essendo desiderosa con lui di averne, come se fosse un’altra Anna dell’Antico Testamento, entrando nel tempio (ossia in chiesa), assicurata dalla devozione al beatissimo Nicola di Bari [6], piangendo disperata, implorò Dio, dicendo [7]: “O Signore mio, Cristo Gesù, che puoi tutto e di tutto sei capace [8], guarda la tua ancella con gli occhi della tua pietà e della tua grazia, strappa via l’obbrobrio della mia sterilità [9] e fai che, resa feconda nella casa di mio marito, concepisca un figlio e lo partorisca generando un tuo servo in lode e gloria del tuo nome. Le mie preghiere sono piccole ed esili al cospetto della tua maestà, perciò io prego il vescovo Nicola, tuo santo, supplicandolo affinché per le sue orazioni io meriti di essere consolata da te, che tutto puoi, promettendo di visitare, insieme al mio compagno e tuo servo, la sua tomba”.

2. Qualche tempo dopo questi fatti, mentre marito e moglie dormivano nel loro letto, apparve a loro in sogno un angelo, che disse loro: “Alzatevi, alzatevi, sbrigatevi a raggiungere San Nicola, della città di Bari: là vi sarà detto come debba essere il figlio che molto presto vi nascerà”. Ecco il meraviglioso favore di Dio: forse questo figlio era destinato ad essere come quel Sansone alla cui madre fu detto ‘Sei sterile e senza figli ma concepirai e partorirai’? [10] Preannunziato dall’angelo, nasce Sansone il quale doveva liberare il popolo dalla mano dei Filistei [11] con segni di potenza; pure preannunziato fu Nicola, colui che veniva a curare le anime e i corpi dei fedeli, liberandoli dalle pene e dalle infermità con prodigi e miracoli. Loda dunque la sterile che non partorisce, canta lodi ed inni a colei che non partoriva perché molti saranno i figli di colei che è stata abbandonata, più numerosi di quelli di colei che ha un marito, dice il Signore [12]. “Molti” dico “saranno i figli di colei che è abbandonata”, ossia di questa sterile, perché suo figlio Nicola ha restituito molti alla sacrosanta Chiesa e alla grazia di Cristo, sostenendoli su di sé e nutrendoli.

3. Risvegliatisi dunque l’uomo e la donna e rallegrati da una tale visione, subito con gioia si alzarono dal letto, rendendo grazia a Dio che dona ogni bene [13]. Non dubitando di ciò che era stato promesso dall’angelo, non appena ebbero affidato ai parenti e agli amici i loro beni, intrapresero il santo viaggio. Essendo giunti alla sacra chiesa del beatissimo Nicola nella città di Bari con molta sollecitudine pregarono e resero grazia a Cristo e al beato Nicola. Offerti i doni, cominciarono a dormire sul pavimento della chiesa di fronte all’altare del beato Nicola ed ecco il beatissimo Nicola apparve loro in sogno, in abito da vescovo, dicendo: “L’angelo che ha annunciato che un figlio vi sarebbe nato, si rivolse a me affinché apparissi a voi stanchi per il pellegrinaggio alla mia chiesa e vi confermassi con le mie parole che un figlio vi nascerà; porterà il nome di Nicola, perché nascerà per il mio intervento” [14].

4. “Questo bambino sarà servo graditissimo a Cristo mio Signore, conducendo vita religiosa e dura ed esercitando il sacerdozio offrirà un sacrificio accettabile a Dio Padre [15]. Risplenderà per segni e prodigi, la sua vita si concluderà nei miracoli. Tornate dunque sicuri nella vostra richiesta e dell’annuncio angelico”. I devotissimi pellegrini si svegliarono, stimandosi indegni di una così grande manifestazione; per il figlio che doveva a loro nascere, gemevano per la letizia straordinaria e si allietavano per la mestizia [16]. “Non siamo degni, Signore Gesù – dicono – di tanta grazia e di essere riempiti da tanta dolcezza di consolazione [17], ma poiché hai comandato di ritornare affinché non accada che resistiamo alla tua volontà, assisti, ti preghiamo, il nostro ritorno secondo il tuo beneplacito e visitaci con le promesse nella tua Salvezza” [18]. Con giusta e bella espressione, essi chiamano sua Salvezza il loro figlio, che secondo la promessa di Dio doveva rivelarsi salvezza di molti.

5. Ritornano dunque felici alle proprie cose; la donna concepisce dal marito e quindi partorisce un figlio, che con onesta sollecitudine immerge alla sacra fonte del battesimo; dai genitori il bambino è chiamato Nicola. Il piccolo crebbe, fu introdotto negli studi liberali per essere bene educato [19]; evitò non solo di adattarsi alla petulanza dei fanciulli e delle donne, ma anche di frequentarli, prediligendo invece la familiarità di anziani e di religiosi, tenendo sul serio a mente l’ammonimento del profeta, secondo cui con il santo sarai santo e con il malvagio ti pervertirai [20]. Inoltre accoglieva molto volentieri i poveri nella casa di suo padre; con grande piacere partecipava agli uffici divini e con desiderio ardente ascoltava la parola di Dio [21], come se fosse ben più avanti d’età. Sorpresi per questo gli uomini del suo villaggio, quasi con spirito profetico [22], dicevano fra loro: “Se Dio concederà di vivere a questo bambino, egli sarà santo”.

6. Quand’era in chiesa, innalzava così l’animo nella contemplazione di Dio che si sarebbe creduto aver visto Cristo anche con gli occhi del corpo. A questo proposito, anzi, ho saputo da un frate che con grande devozione assisteva il sant’uomo nelle sue infermità [23], che essendo capitato fra loro un discorso sull’innocenza dei bambini, questi gli disse: ” Figlio mio, con danno va perduta quella innocenza propria della fanciullezza e si giunge alla vecchiaia; io stesso, che pure sono quel peccatore che tu vedi, all’epoca in cui godevo di quella età innocente, nella chiesa in cui ero solito andare [24], mentre il sacerdote celebrava l’Eucarestia e secondo il rito alzava il corpo del Signore, con questi miei occhi vidi con chiarezza un fanciullo bellissimo di aspetto, splendido per la veste, dal volto luminoso e con un’espressione dello sguardo piena di gioia; con la sua lingua diceva: ‘Innocenti e giusti furono uniti a me’ [25]. In seguito però, appesantito dalla maggiore età, mi trovai senza quella visione tanto felice “.

7. Conducendo una vita così santa, ancora giovane è nominato canonico della chiesa di San Salvatore [26], ma poiché cominciava a desiderare di star del tutto lontano dalle cose del mondo, prese a riflettere su quale tipo di vita e a quale regola potesse aderire, in modo da essere così fedelmente servo di Dio, che il mondo non fosse degno di lui [27]. Proprio in quei giorni c’era a Sant’Angelo un frate dell’Ordine di Sant’Agostino e risultava al popolo predicatore graditissimo della parola di Dio; piacque per la dottrina e per il modo di vita [28]. Trovandosi a predicare in piazza dove si era raccolta una grande moltitudine di gente fra le altre cose disse queste parole: ” Non amate il mondo né quelle cose che sono del mondo perché passa il mondo e passa la sua concupiscenza ” [29]. Questa affermazione penetrò così a fondo nella mente del ragazzo che subito dopo la predica domandò al frate con insistenza di essere accolto in convento, lui che desiderava lasciare il mondo [30]. Sulle prime il frate non volle acconsentire alle sue preghiere, senza aver avuto il consenso dei genitori, onde non avesse a sorgere tristezza da dove invece doveva nascere la gioia [31].

8. Si rintracciano i genitori e viene resa nota la perfetta volontà [32] del loro figlio; padre e madre l’ascoltano volentieri e nella felicità lodano Dio, che ha portato a pieno compimento la sua promessa nel figliolo. Il giovane Nicola viene dunque accolto da quel frate e, concluso il tempo della prova, emettendo solennemente il voto di obbedienza, di povertà e di santissima castità, avidissimo di meravigliosa santità, è accolto tra i professi. Questi è colui che [33] spogliandosi dell’uomo vecchio si rivestì di Cristo [34]: infatti promettendo ed abbracciandone l’obbedienza, detestando la disubbidienza dei progenitori [35], abbandonando il proprio arbitrio, si fece suddito della divina volontà. Questi è colui che desiderando condurre vita apostolica, abbandonate le reti delle concupiscenze di questo mondo, oltre al padre e alla madre, seguì la povertà ed indossò il crocifisso [36]. Questi è colui che, amando la purezza della castità [37], crocifisse con i chiodi ogni concupiscenza e la propria carne [38].

9. Non appena infatti ebbe riconosciuto che ciò che aveva promesso non doveva essere violato e come la castità non potesse essere conservata se il corpo non fosse stato ridotto in servitù [39], cominciò allora a condurre una vita anche più dura di quella degli altri frati, sempre intento a digiuni, vigilie, orazioni, dure penitenze; condusse tutta la sua vita casta e pura tra le spine delle tentazioni di questo secolo. Quando qualcuno gli domandava come potesse resistere a tali tentazioni della carne e ai suoi tormenti, egli non rispondeva; sapeva infatti quanto sottilmente sempre l’antico nemico fosse solito agire contro l’uomo [40], per mostrare sconfitto dal dardo della vanagloria, chi non può vincere col vizio della lascivia.

Note capitolo I

(1) – Ps. 67, 36, che però ha mirabilis Deus in luogo di gloriosus. La citazione in questa forma è però comune: per qualche esempio nei padri cfr. Gregorio Magno, In librum I Regum expositionum libri VI, ed. P. Verbraken, 1963, I, cap. 115, lin. 2821 (CCSL 144) (testo che Pietro pare citare anche infra) e Bernardo di Clairvaux, Sermones in Dominica I novembris, in Opera Bernardi, ed. H. Leclercq – H. M. Rochais, 1968, vol. 5, p. 320.

(2) – Si potrebbe cogliere qui un elemento di polemica, per così dire, intramonastica: notoriamente tardiva era stata infatti la conversione di Giovanni Bono; il caso di sant’Agostino – del tutto eccezionale – non poteva essere invocato per smentire la norma che fin da principio Pietro vuol stabilire.

(3) – Si tratta di Sant’Angelo in Pontano (oggi in provincia di Macerata).

(4) – Corona gloriae è espressione biblica, tuttavia cfr. in part. Sir. 47, 9, dove – nel contesto dell’elogio dei patriarchi – si ricorda David che in iuventute sua … occidit gigantem et extulit obprobrium de gente guadagnandosi la corona gloriae (47, 7-9).

(5) – 5. Il padre di Nicola si chiamava Compagnone. Cfr. Il processo di canonizzazione di s. Nicola da Tolentino, cur. N. Occhioni, intr. D. Gentili, praef. A. Vauchez, Roma-Tolentino, 1984, p. 17, lin. 52

(6) – Nicola fu vescovo di Mira (Asia Minore) nella prima metà del IV secolo (muore tra 345-352). I suoi resti verranno portati a Bari nel 1087, che ne diverrà luogo principale di culto. Cfr. O. Limone, Nicola di Mira, in Il grande libro dei santi. Dizionario Enciclopedico, San Paolo, Milano, 1998, III, pp. 1483-89.

(7) – 1Sam. 1, 10-11. Questo ad Anna, madre di Samuele, è il primo dei ricorrenti riferimenti a personaggi e a fatti dell’Antico Testamento caratteristici della Vita.

(8) – Cfr. Matth. 19, 26 e Marc. 10, 27.

(9) – A commento della vicenda di Anna, un’analoga espressione si trova ancora in Gregorio Magno, In librum I Regum, cit., I, cap. 73, lin. 1639.

(10) – Idc. 13, 3.

(11) – 1Sam. 9, 16.

(12) – Is. 54,1; Gal. 4, 27

(13) – Agostino Sermones, sermo 212, ed. S. Poque, Paris, 1966, p. 184, lin. 110 (SChr 116).

(14) – Il testo di quest’ultimo periodo, come si legge negli Acta Sanctorum, non funziona bene; gli editori stessi lo annotano (haec luxata periodus vitiosa pariter est in ms. nostro Ultrajectino, p. 646), proponendo una diversa lettura sulla base del testo proposto da L. Surius (L. Suhr), Vita sancti Nicolai Tollentini … in De probatis sanctorum historiis, Coloniae, 1574, pp. 170-76, di cui si è avuto una nuova edizione Torino, 1875-80, IX, pp. 280-289. A questa ci riferiamo per la traduzione. Si tratta però di una soluzione del tutto provvisoria.

(15) – 2Petr. 2.5. Cfr. Conf. 7,21: Exultare cum tremore.

(16) – Si noti nell’espresssione ossimorica, la traccia di una certa ricercatezza stilistica.

(17) – Cfr. Matth. 8, 8.

(18) – Espressione ricorrente nella Bibbia.

(19) – Il testimone 88 ne Il processo di canonizzazione, cit., p. 253, ricorda che fu maestro di Nicola, Angelo, cappellano di San Salvatore a Sant’Angelo, che ne avrebbe pure incoraggiato l’ingresso nell’Ordine Agostiniano, riconoscendo la precoce santità del ragazzo.

(20) – Ps. 17, 26.

(21) – Audire verbum Dei è espressione frequente nel Nuovo Testamento per segnalare la condizione di santità, in particolare cfr. Act. 13, 7.

(22) – L’espressione e le seguenti evocano le parole di Zaccaria, mentre accoglie Giovanni fanciullo, per cui cfr. in part. Luc. 1, 67 e 1, 76.

(23) – L’osservazione ci dice qualcosa dell’età del biografo: egli ha per lo meno conosciuto il frate incaricato di assistere Nicola nella malattia.

(24) – Anche in questo punto gli editori degli Acta devono ricorrere al manoscritto di Utrecht per ottenere un testo che dia senso.

(25) – Ps. 24, 21.

(26) – Gli editori degli Acta notano che si trattò verosimilmente di canonicato secolare e ricordano un documento pervenuto a loro nel 1701 che attestava l’autenticità delle reliquie di Nicola conservate a Sant’Angelo e che lo ricordava iniziato agli Ordini minori e canonico. Cfr. Acta cit., p. 646, nota m.

(27) – Hebr. 11, 8, dove Paolo presenta esempi di fede tratti dall’Antico Testamento: “Il mondo non era degno di coloro che maltrattati vagarono per deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra”: la citazione evoca dunque e introduce implicitamente una vocazione eremitica.

(28) – Secondo il Gandolfo si trattò di fra Reginaldo, pure marchigiano. Gli editori degli Acta ricordano che nel documento sull’autenticità delle reliquie conservate a S. Angelo e sopra citato, si ricordano anche due colonne che sostenevano la tribuna dalle quali avrebbe predicato Reginaldo (e molte volte, più tardi, lo stesso Nicola). Cfr. Acta, p. 647, nota n. Si noti che “Raynaldus de Sancto Angelo” era il Priore del convento degli Agostiniani di S. Angelo che accolse Nicola nell’Ordine, come attestano due testimonianze (n. 88 e 207) de Il processo, cit., p. 254 e 462, rispondendo a proposito dell’articolo In iuvenili etate, relicto fastu mundi.

(29) – Ioh., 2, 15; 2, 17.

(30) – Ioh. 16, 28: la citazione serve a notare un aspetto della spiritualità eremitica: Gesù lascia il mondo per tornare al Padre da cui era venuto. Che Pietro pensi al brano di Giovanni lo si comprende anche dalla successiva allusione, quando Gesù promette ai discepoli che la tristitia per la sua partenza si trasformerà in gaudium.

(31) – Cfr. Ioh. 16, 21-22.

(32) – Rom. 12, 2.

(33) – Si noti l’anafora (che rendo con la triplice ripetizione questi è colui che): nel racconto dell’assunzione dei voti, che ci avvicina alla conclusione della prima parte della Vita, il tono si alza. L’anafora serve qui anche a dare evidenza allo schema dei tre consigli apostolici dell’obbedienza, povertà e castità. L’espressione hic est qui, in questo senso, è neotestamentaria, cfr. per qualche esempio Matth. 13, 19-23, Ioh. 1, 33 e 1Ioh. 5, 6.

(34) – Cfr. Col. 3, 9.

(35) – L’imitazione di Cristo fa il santo collaboratore della sua opera di redenzione.

(36) – Cfr. Matth. 4, 20-22, con il racconto della conversione dei primi apostoli.

(37) – Prov. 22, 11.

(38) – Cfr. Eccle. 5,4.

(39) – Cor. 9, 27.

(40) – Cfr. Agostino, Sermones, sermo 94A, ed. G. Morin, in Miscellanea Augustiniana, 1, Roma, 1930, pag. 253, lin. 7: “Ille hostis antiquus semper contra nos uigilat: non dormiamus”, che evoca 1 Petr. 5, 8

VITA DI  NICOLA DA TOLENTINO di Pietro da Monterubbiano O.S.A.

10. Qualche tempo dopo, una volta che la sua vita e la sua dottrina furono con chiarezza comprovate, Nicola fu assunto al sacerdozio ed inviato dal priore provinciale in un eremo vicino a Pesaro, chiamato Valmanente, per condurvi vita conventuale [1]; reso pronto e sollecito dal fervore di una straordinaria devozione, ogni giorno celebrava qui la Messa nel momento assegnato. Una volta, incaricato nel calendario settimanale della Messa conventuale, nella notte immediatamente precedente la domenica si mise un po’ a dormire sul povero letto ed ecco che un’anima a gran voce e con un grande grido lo chiama: “Fratello Nicola – gli dice – uomo di Dio: rivolgiti a me! (Ps. 24, 16) ” [2]. Nicola si volge a quell’anima, sforzandosi in ogni modo di riconoscerla, ma poiché guardatala non riusciva a capire di chi fosse stata quell’anima mentre era viva, gli chiese turbato di farsi riconoscere.

11. Quell’anima allora rispose : “Io sono l’anima di frate Pellegrino di Osimo, che hai conosciuto da vivo: allora ero tuo servo, ora sono tormentato in questa fiamma. Accogliendone la contrizione, Dio non mi destinò alla pena eterna, che nella debolezza meritai, ma alla pena purgatoria, in virtù della sua misericordia. Ora ti prego umilmente di degnarti di celebrare la Messa per i morti, affinché io sia finalmente strappato da queste fiamme”. Nicola rispose: “Ti sia propizio il mio Salvatore, o fratello, dal cui sangue tu sei stato redento; io sono però incaricato della Messa conventuale, che deve essere celebrata solennemente, e siccome non è giusto mutare l’officio – tanto meno nel giorno di domenica che viene – non posso recitare la Messa dei morti” [3]. Al che quello gli disse: “Vieni, o venerabile padre, vieni [4] e guarda se è davvero degno di te respingere senza misericordia la richiesta che viene da una tanto misera moltitudine”. Conducendolo da un’altra parte dell’eremo, gli mostrò allora quella piccola pianura che è vicino a Pesaro [5], in cui in effetti si trovava una moltitudine di gente, di ogni sesso, di diversa età e condizione e anche di ordini diversi. “Abbi misericordia, o padre, abbi misericordia di una moltitudine tanto misera [6], che aspetta da te un utile aiuto; infatti se tu vorrai degnarti di celebrare per noi, la maggior parte di questa gente sarà strappata [7] da questi tormenti atrocissimi”.

12. Risvegliandosi dunque il sant’uomo, mosso da una grande pietà [8] per questa gente, cominciò subito ad implorare il Salvatore di tutti [9] per tutti loro con una grandissima effusione di lacrime. La mattina dopo, prostrato con assoluta reverenza di fronte al priore, evitando ogni cenno di presunzione, gli parlò della visione non rivelando tutto ma solo alcuni particolari e supplicandolo di concedergli il permesso di celebrare la Messa dei morti in quella settimana. Il priore, subito accordando il suo permesso a quelle preghiere, provvide a sostituirlo con un altro nell’incarico. Nicola dunque, celebrando per tutta la settimana la Messa dei morti, giorno e notte piangeva lacrime [10] d’amore per quella moltitudine che gli era stata mostrata. Ed ecco, trascorsa quella settimana, lo stesso frate Pellegrino gli apparve ancora e lo ringraziò per la misericordia [11] che aveva richiesto e gli riferì di essere stato strappato con gran parte della moltitudine predetta dalle pene atrocissime, per la misericordia di Dio, per le Messe celebrate e per le preghiere lacrimose. E disse di essere così giunto con gioia alla gloria di Dio. “Tu ci hai liberato – disse – da ciò che ci tormentava, disperdesti e confondesti coloro che ci odiava” [12].

13. O uomo ineffabile, i primordi della cui santità e le primizie dei meriti concorrono alla redenzione degli eletti di Dio! In purgatorio cominciò ad essere conosciuta la giovane età dell’uomo del quale la santità di vita da vecchio è vista essere venerata nel mondo: già la nave dei suoi meriti solca il mare del purgatorio e con le preghiere di questo mondo apre la terra, come con una sorta di vomere del potere a lui affidato [13]. Nicola non solo svuotò il purgatorio con i suoi meriti, ma anche l’inferno sembrò svuotare con le preghiere della sua pietà. Infatti una volta, mentre era conventuale nella città di Recanati, un nunzio addolorato gli si presentò giungendo dalla casa del fratello e non appena fu in presenza del sant’uomo, abbracciandogli le ginocchia a terra, piangendo e gridando a gran voce disse: “Dov’erano le tue preghiere e dove le tue virtù, o Nicola santissimo? Ecco che alle tue mani si chiede conto dell’anima e del corpo di tuo fratello: in un agguato inatteso infatti egli è stato ucciso da malviventi nel castello di Monte Apponi [14], come se la tua santità che amava il suo corpo e la sua anima non fossero esistiti”. Udendo queste cose il sant’uomo non poté trattenere le lacrime [15], dicendo: “O misero, come è possibile che tu sia dannato! ” Rimandato il nunzio, si sottopose allora ad un’astinenza più dura, pregando con lacrime giorno e notte [16] per quindici giorni, affinché il Salvatore Gesù Cristo si degnasse di mostrargli se dannata o salva fosse l’anima di suo fratello. Mentre stava in chiesa, accendendo una lampada in onore del Corpo del Signore che si trovava sull’altare, udì allora una voce che gridava e diceva: “Fratello mio, fratello mio, ringrazio Dio e il Signore nostro Gesù Cristo, il quale guardando le tue preghiere e le tue suppliche piene di lacrime con l’occhio della sua pietà, pur essendo dannato mi liberò” [17]. Siccome Nicola temeva gli inganni del nemico, il quale talvolta si trasforma in un angelo di luce [18], e più facilmente cattura nei lacci dei peccati le anime, senza scomporsi replicò: “Perché mi tenti? Mio fratello è morto e come Dio può dannarlo così può ugualmente salvarlo”. Ma quello: “Non avere alcun dubbio, fratello mio: sono proprio Gentile, tuo fratello, liberato ora dall’inferno, da Cristo, grazie alle tue preghiere. Sta sicuro dunque e sii forte [19] nelle opere di penitenza che hai cominciato: le tue opere sono tanto grate a Dio e al nostro Salvatore che qualsiasi cosa tu chiederai a lui durante la tua vita l’otterrai [20]; in questa altra vita, in cui io sono, tu sarai poi molto glorioso” [21].

14. Tuttavia l’invidioso e antico nemico s’ingegnò di insidiare il sant’uomo nei luminosi inizi della santità per mezzo di un suo cugino, così come aveva ingannato il primo uomo per mezzo di Eva. Suo cugino era infatti priore in un monastero presso Fermo, vicino al fiume detto Tenna, chiamato Santa Maria di Giacomo. Vedendo dunque la povertà, la nudità, la penitenza e le privazioni del sant’uomo, ne è afflitto e compatendolo gli dice: “Perché devi patire tanta miseria? La condizione del tuo Ordine è poverissima, né riuscirai ad adempiere agli aspri precetti della regola; pensa alla tua giovinezza [22]; tu puoi rallegrarti con me nella pace di questo monastero; stretto dal vincolo della nostra parentela non sopporto più di vedere tanta miseria nella tua giovinezza”.

15. Il sant’uomo, riconoscendo il dardo della tentazione [23], prese allora come scudo di difesa una devotissima orazione [24] nella chiesa di quel monastero; l’Agricoltore celeste [25] (il quale non vuole che coloro che mettono mano all’aratro guardino in dietro) [26] in fretta procurò il salutare scudo della buona volontà [27] contro la freccia della tentazione a lui che teneva piegate le ginocchia ed elevate in alto le mani e che pregava dicendo “Dirigi o Signore nel tuo cospetto la mia via” [28]. Subito allora, proprio in quella chiesa e in quel luogo dove pregava, venti giovani [29], disposti alla maniera di due cori, vestiti di bianco, coi volti splendenti [30], insieme gli si presentarono, esclamando con unanime voce per tre volte: ” A Tolentino, a Tolentino, a Tolentino sarà il tuo destino; nella vocazione in cui sei stato chiamato rimani, in essa infatti incontrerai la tua salvezza”. Nicola comprese di non aver visto uomini, ma piuttosto di essere stato ammonito da Dio stesso; così egli stesso molto tempo dopo confessò ai frati, con semplicità, rivelando appunto che sarebbe morto a Tolentino. Per quanto il cugino si sforzasse di trattenerlo ancora con blandizie, scoraggiandolo per l’asprezza dell’Ordine e esortandolo alla leggerezza della vita nel suo monastero, tuttavia – come più avanti è pienamente descritto – egli non poté dissuaderne l’animo, né distogliendolo con le asprezze né addolcendolo con promesse di prosperità, giacché Nicola già disprezzava ogni cosa temporale e secondo l’oracolo celeste si affrettò rapido [31] a raggiungere Tolentino.

Note

(1) – Nicola fu ordinato dal vescovo di Osimo intorno al 1267; alcuni suoi biografi hanno supposto che si trattasse di S. Benvenuto. Il convento di Valmanente fu fondato nel 1238 a poco più di un chilometro da Pesaro sulla via Flaminia. Quando vi fu inviato Nicola, il convento si chiamava Santa Maria e solo più tardi sarà intitolato a S. Nicola stesso. Il convento è tuttora aperto. Cfr. Insediamenti agostiniani nelle Marche del XVII secolo. Le relazioni del 1650 e la soppressione innocenziana, a cura di R. Cicconi, Centro studi A. Trapè. Biblioteca Egidiana, Tolentino 1994, in part. pp. 330-31, 360.

(2) – L’episodio è narrato anche in Antonino da Firenze, Chronica, III, Lugduni 1543, tit. XXIV, cap. 10, f. 207v.

(3) – Tutto il brano rievoca il colloquio tra Abramo e il ricco di Luca 16, 24: in particolare il dannato del racconto evangelico “clamans”, rivolgendosi ad Abramo lo invoca “miserere pater.”

(4) – Anafora (“veni … veni”) e allitterazione (“veni venerande …”) per dare solennità alla richiesta.

(5) – Il riferimento è forse alla piana che si stende tra il colle San Bartolo e il monte Ardizio. La notazione “illa parva planitia”, riferita a luoghi ben presenti agli occhi dei suoi lettori, consente a Pietro una lieve virata realistica nell’evocazione del sogno.

(6) – L’invocazione della misericordia sulla moltitudine (miserere turbae tam miserae, di cui si deve notare la figura etimologica), richiama i luoghi in cui Gesù si commuove per la folla, in part. Matth. 9, 36; 14, 14; 15, 32; Marc. 6, 34; 8, 2, con richiami letterali.

(7) – Cfr. Ps. 32, 19-20, 22: “Ut eruat de morte … expectavit Dominum, auxilium nostrum,… sit misericordia tua, Domine, super nos sicut expectavimus te”.

(8) – L’espressione pietate commotus, vagamente neotestamentaria, ricorre più volte nelle Vitae Francesco d’Assisi di Tommaso da Celano (Tractatus de miraculis, Vita I e Vita II).

(9) – 1Tim. 4, 10 e Sap. 16, 7.

(10) – Cfr. Luc. 18, 7 ed anche Ps. 41, 4.

(11) – Riprende la citazione del Ps. 32, 22, di cui supra.

(12) – Ps. 43, 8 Come spesso nella patristica, Pietro ha liberasti nos in luogo del salvasti della Vulgata.

(13) – L’uso della metafora della nave e del mare, del vomere e della terra cerca una conclusione ad effetto dell’episodio ed apre alla successiva narrazione delle opere di Nicola.

(14) – Nella tradizione testuale si verificano divergenze su questo toponimo.

(15) – Cfr. Ioh. 11, 32-35, in cui di fronte a Lazzaro, “lacrimatus est Iesus”.

(16) – Cfr. Ps. 41, 4.

(17) – Si è accennato ai problemi posti da questo testo; non mi pare però che la traduzione dia luogo a dubbi: “Cum esset damnatus, (scil.: dominus Iesus lachrymosas orationes tuas attendens) liberavit me” AASS n. 13). L’editore L. Suhr omette tutto il brano relativo alla liberazione di Gentile.

(18) – 2Cor. 11, 14.

(19) – Ios. 1, 7.

(20) – 2Sam. 19, 38: sono le parole che David dice a Chimam, affidato al re dal padre ottantenne Barzillai.

(21) – Il testo edito da Mombrizio in questo punto non funziona: gli editori degli AASS ricorrono allora a quello del manoscritto di Utrecht.

(22) – La serie di metafore che seguono è ricorrente nella tradizione medievale e patristica e sviluppa temi biblici indicati. Si veda comunque, per tutto il contesto, Bernardo di Clairvaux, Sermones super psalmum ‘Qui habitat’ sermo 6 (alia recensio), par. 7 ( ed. J. Leclercq- H. Rochais, vol. 4, pag. 410, lin. 20): “Contra omnia iacula tentationis muniendi sumus scuto divinae protectionis”.

(23) – Gregorio Magno, Moralia in Iob, XXIII, 1 lin. 20 (ed. M. Adriaen, 1980, CCSL 143b).

(24) – Sap. 18, 21.

(25) – Agostino, Sermones, 216 (PL 38, col. 1078) che naturalmente ricorda Ioh. 15, 1.

(26) – Luc. 9, 62.

(27) – Ps. 5, 13.

(28) – Ps. 5, 9.

(29) – 2Macc. 10, 35.

(30) – Cfr. Matth. 17, 2.

(31) – Espressione pleonastica; si trova anche in Tommaso da Celano, Legenda sanctae Clarae, par. 53, 6 (riferita ad un cieco che si affretta al sepolcro di Chiara per riceverne guarigione) (ed. E. Menesto, S. Brufani et alii, Fontes franciscani, Assisi, 1995, p. 2445).

16. Il nemico del genere uman [1] tentò allora di frenare il desiderio santo, che però doveva prevalere, con l’aiuto del nostro Signore e Salvatore, in modo meraviglioso. Davvero, se il Signore prova gli eletti come oro nella fornace [2], la pensata diabolica fu l’ingresso della “fornace”, perché il beatissimo Nicola fosse provato “come oro”. Dove l’antica malizia del diavolo erige più forti macchine di tentazioni, là la divina clemenza pone a sua volta più robuste capacità di difesa: accadde così che dove il nostro sant’uomo fu ornato, difeso e fortificato dal Signore per mezzo di virtù, proprio qui provò sempre di più i tormenti diabolici [3]. Tornando a Tolentino, come gli era stato comandato dall’oracolo divino [4], Nicola si trovò trasformato in un uomo diverso, in maniera miracolosa; qui infatti, per quasi trent’anni, non mangiò mai né carne, né uova, né pesce o altri alimenti grassi, né formaggi o frutta, sia sano sia malato. Ma una volta, essendosi ammalato e preoccupandosi i frati della sua debolezza, vennero chiamati i medici che egli non voleva, riponendo la sua speranza [5] nel suo medico Gesù [6].

17. I frati, preoccupatissimi per la sua salute, considerando la debolezza contratta, lo consigliarono affinché mangiasse almeno le carni più leggere: ma lui non solo non volle ascoltare il loro parere, ma respinse gli stessi medici [7]. Anche il priore del luogo, constatando il pericolo per il suo sottoposto, lo esortava con insistenza a seguire il consiglio dei medici. Il sant’uomo gli rispondeva umilmente: “Ma perché, mio priore, desideri danneggiarmi [8]? Forse non capisci che questo corpo che un tempo gustò il piacere del cibo, altro non ambisce che tornarci alla svelta? Abbi pietà di me allora; è meglio porre un freno a questa carne piuttosto che lasciarle sciolte le briglie [9] perché trascini l’anima dannata nelle fosse dei peccati” [10]. Non riuscendo ad opporsi al proposito del sant’uomo, il priore si rivolse al priore generale, che in quel tempo si trovava nel convento, e riferendogli quanto stava accadendo, insistette con lui affinché ingiungesse al santo di seguire il consiglio dei medici.

18. Il priore generale [11], messo al corrente del pericolo in corso, si recò dall’infermo, lo salutò e dopo avergli mostrato molti e diversi esempi d’ammonizione, gli comandò per salutare obbedienza, di cominciare a mangiare, come sapeva che i medici avevano consigliato. Il sant’uomo non voleva assolutamente venire meno all’obbligo dell’ubbidienza, ma nello stesso tempo cercava in ogni modo di respingere le carni. Allora chiamò il padre priore e gli disse di essere pronto ad ubbidire al priore generale: “È questo che ho promesso – disse – questo portai come primo dono al mio Salvatore, alla sua santissima Madre e al beato Agostino; questo è quanto ho desiderato conservare fino alla morte” [12]. Dunque, secondo la prescrizione dei medici, gli furono preparate le carni. Fra il vizio della gola e l’errore della disubbidienza, quasi posto tra due pericoli [13], il sant’uomo sperimentò nella sua mente una grande battaglia tra opposti pensieri; infine decise e accettò un piccolo pezzetto [14] di carne, per poi dire: “Ecco, ho ubbidito: non tormentatemi ancora con il vizio della gola”.

19. Per il resto Nicola si tenne saldo al consiglio del migliore dei medici e il medico celeste Gesù Cristo, riconoscendo tanta costanza nel suo servo, lo risanò rapidamente, senza il grasso del cibo e senza assumere farmaci. Per la qual cosa egli gioiva delle ristrettezze dell’astinenza [15], domando la carne, che la sua buona salute riusciva ora a sopraffare del tutto; infatti (quando non era afflitto da una eccessiva spossatezza) non solo si asteneva da cibi grassi, ma nella II feria, nella IV e nella VI, nonché il sabato, in onore della Vergine Maria, si saziava solo una volta al giorno, a pane e acqua [16]. Colui che aveva sconfitto i progenitori con il vizio della gola [17] e che aveva tentato il secondo Adamo, nostro Salvatore [18], proprio lui ugualmente cercò di avere la meglio sul nostro Nicola, pure tentandolo: il diavolo infatti lo induceva spesso a ricordare come gli altri frati trattassero il cibo e quanto spesso fossero dichiarate [19] infermità e soprattutto dolori alle giunture, torsioni dello stomaco, debolezza del capo, offuscamento dello sguardo e della vista, attribuite all’asprezza dell’eccessiva astinenza.

20. Era spesso tormentato in questi e in simili pensieri, tanto che una volta fu preso dal turbamento e diceva a se stesso: “E se la mia astinenza non fosse gradita a Dio che proprio in ragione di essa concede al diavolo di esercitare su di me il dominio di tante tentazioni [20]? Ecco dunque, aiutami Dio [21], perché se tu non mi aiuti, Signore, in breve l’anima mia abiterà nell’inferno” [22]. Gesù Cristo, principe assolutamente invincibile, non volendo che perisse il suo soldato mentre combatteva sul campo della tentazione, apparendogli in sogno gli disse: “Nicola, non essere triste, anzi rallegrati, perché mi piace l’opera che hai incominciato” [23]. Svegliato da quella voce il santo esclamò: “Sono lieto delle cose che il Signore mi ha detto. Andiamo rallegrandoci nella casa del Signore” [24]. Da allora, divenuto del tutto sicuro, sopportava lietamente e godendone le tentazioni [25] di cui abbiamo parlato.

21. Costringendosi dunque ad una astinenza con maggiore ardore, Nicola fu preso dalla febbre e si ammalò ancor più gravemente, per l’azione di quello stesso nemico che aveva ricevuto dal Signore il potere sulla carne di Giobbe [26]. Il diavolo fece ciò sforzandosi di trascinare nel tedio disperato della malattia quell’anima che non aveva potuto corrompere con il vizio della gola. Tuttavia il sant’uomo, vedendosi tanto debole da rischiar la vita, scoprendo la diabolica tentazione da cui era minacciato, di continuo implorava l’aiuto della Vergine e del beatissimo Agostino, e proprio mentre ne implorava l’aiuto, dolcemente si addormentò. Si racconta allora che subito la Madre di Dio, accompagnata dal beato Agostino, gli apparve mentre dormiva, avvolta in uno straordinario splendore; guardando verso di lei e soprassalendo in pensieri di ammirazione, il sant’uomo esclamò: “Che cosa è accaduto, o signora, per cui tu tanto splendida vieni a me [27], che sono polvere e cenere?” [28].

22. Lei allora disse: “Io sono la madre del tuo Salvatore, la vergine Maria; mi invocasti spesso in tuo aiuto, con Agostino, che vedi accanto a me. Ecco, siamo venuti, affinché tu potessi avere, per mia cura, una prescrizione risanatrice ” [29]. Indicando poi con un dito la piazza, aggiunse: “Manda un messo là, a qualche donna, e costui porti per te un pane fresco, donato in nome di mio figlio Gesù Cristo; quando lo avrai ricevuto, tu lo mangerai intinto nell’acqua e allora riacquisterai la salute”. O Vergine prudentissima, con questa medicina davvero bene consigliasti il santo: nella sua malattia nessun altro cibo avrebbe assunto altrettanto volentieri quanto quello che ora per amore tuo assumeva molto avidamente per averne salute: per mostrare come la sua astinenza fosse gradita a te e a tuo figlio, con il cibo dell’astinenza volesti risanarlo.

23. Svegliatosi allora il sant’uomo chiamò il suo aiutante e, tacendo della visione, lo mandò nel luogo che gli era stato mostrato per chiedere un pane, in nome di Gesù Cristo. L’aiutante, ricevendo con gioia il pane fresco da una certa donna, lo immerse nell’acqua e glielo portò da mangiare; lui, fatto il segno della croce sul pane, assuntane una piccola porzione e ricevutone senza alcuna attesa il beneficio di una perfetta salute, si rialzò. Ma che altro potrò dire della sua astinenza quando, giunto all’età di sette anni, per tre giorni alla settimana cominciò a digiunare, imitando in parte S. Nicola di Bari, il quale si asteneva dal seno della madre nella II, IV e VI feria. Davvero non sperimentò l’età dell’infanzia colui che da giovane sosteneva un’astinenza da vecchio. Non si provava meraviglia da colui che già da giovane era stato così docile a digiunare, se era ora così avanzato nel digiuno.

24, Non solo con il digiuno e l’astinenza, ma anche con i flagelli e con altre pene costringeva il suo corpo a servire l’anima [30]. Accontentandosi di solo un po’ di paglia, dormiva per qualche ora della notte e poi si alzava a pregare. Castigava la sua carne con una catena di ferro; usava rozze tuniche e per evitare piaceri del corpo rifuggiva le vesti delicate, sempre seguendo l’ ammonimento evangelico: “Ecco, quelli che si vestono mollemente, abitano le case dei re” [31]. Fu tanto assiduo nella preghiera che pregava sempre [32]: dalla Compieta al canto del gallo; dal Mattutino fino alla mattina; dopo la messa (a meno che non fosse occupato nelle confessioni) fino all’ora Terza e dopo la Nona (salvo obblighi d’obbedienza) fino al Vespro; e ciò oltre alle preghiere delle ore stabilite, nelle quali era poi il primo. Il luogo delle sue preghiere non era solo l’oratorio presso uno degli altari dove ora giace sepolto, ma anche nella cella, dove aveva collocato due pietre [33]: su una di esse piegava le ginocchia e sull’altra appoggiava le braccia quando per la troppa fatica dell’orazione era stanco, in modo che, se le braccia non erano afflitte dalla fatica, fossero almeno castigate dal freddo del loro appoggio.

25. Provando invidia per la devota orazione di lui, il diavolo lo molestava non solo inducendo cattive ispirazioni, ma con parole e apparizioni. Una volta accadde così che, mentre il santo in oratorio pregava più devotamente davanti all’altare di cui ho parlato, il diavolo non solo spense la lampada che illuminava, ma anche la spezzò gettandola a terra [34]. Mettendosi sopra il tetto dell’oratorio, produceva voci delle più strane bestie e rovesciando gli embrici sembrava voler distruggere il tetto. Ma il sant’uomo sapendo che si trattava di illusioni del diavolo [35], più intensamente pregava. Ecco allora che il terribile nemico entrando con furie e terrore per la porta, lo assalì mentre pregava e lo colpì con tali colpi che per molti giorni le cicatrici delle ferite erano visibili in tutto il suo corpo.

26. Un’altra volta mentre Nicola si cuciva una tunica, il nemico del genere umano gli sottrasse una parte di quella tunica [36]. Il sant’uomo volendo ricongiungere quella all’altra parte e non trovandola, la cercava e ricercava, e non riuscendo a trovarla, diceva: “Santo Dio, ma chi può prendersi gioco di me così ? Davvero costui non è degno di essere nominato!”. Subito il diavolo rispose alle parole del santo, dicendo: “E’ vero, ti ho ingannato e ti ingannerò ancora! ma in modo diverso da quello che ho adottato finora, dato che così non sono riuscito a superarti”. E il sant’uomo: “Chi sei?”; e quello: “Sono Belial, assegnato al tormento della tua santità”. E il santo “Se il Signore è il mio aiuto, non temerò ciò che può farmi l’uomo” [37].

27. Una volta di notte, non volendo trascurare la consueta orazione, non essendo ancora aperto l’oratorio, dato che il sant’uomo anticipava l’ora del Mattutino, e volendo entrare nel refettorio dove era dipinta un’immagine del crocifisso sulla porta, fu spinto e gettato a terra da Belial con tanta forza che appena gli rimase il respiro. Tuttavia si fece forza e nel nome del Crocifisso si rialzò; volendo andare a pregare fu colpito e di nuovo piegato a terra. Infine si sforzò di tornare in dietro ma era sbattuto contro ogni angolo che incontrava, con violenza. Grazie a Dio, si sentì il rumore dei demoni che combattevano col santo: i frati svegliati accorsero presso il beato Nicola e lo sollevarono da terra. Lo portarono al povero letto, incapace di stare in piedi. Qui subito confortato da Cristo, pur sostenendosi con l’aiuto di un bastone, compiendo le consuete orazioni, rese grazie e lodò Cristo salvatore.

Note

(1) – L’espressione risale a Gregorio Magno che la usa anche nei Dialogorum libri IV, nel racconto della vita di S. Benedetto: III, cap. 16 (SChr 260). Sebbene essa sia poi utilizzata da vari altri autori, la riferisce specificamente alla penna di Gregorio ancora Salimbene da Parma, nella Cronica (ed. G. Scalia, 1966, p. 664).

(2) – Sap. 3, 6. La metafora è spesso ripresa dai Padri, in particolare da Agostino, Bernardo e Gregorio.

(3) – Si noti la costruzione chiastica del periodo e l’uso della metafora: il santo è città assediata. Qui Pietro formula il tema del capitolo, tipico della tradizione agiografica. Lo fa con una certa eleganza: si esprime in maniera enigmatica e munito di una leggera ironia la cui amarezza è stemperata dall’attesa del successo preparato per Nicola; tuttavia si sappia che la destrezza diabolica riesce a generare la tentazione proprio nell’esercizio delle più valorose virtù: l’astinenza e l’obbedienza possono essere rese nemiche ?

(4) – Cfr. supra, nell’ultimo paragrafo del precedente capitolo.

(5) – Ps. 77, 7 (o Ps. 72, 28).

(6) – Cfr. Marc. 2, 17. La metafora è cara ad Agostino, per cui cfr. almeno Enarrationes in Psalmos ps. 130, par. 7, lin. 18 (CCSL 40) e meglio Sermones, sermo 88, in “Revue Bénédictine ” 94 (1984), p. 74, lin. 2: “Iesus Christus medicus nostrae salutis aeternae”. Sull’uso di questa metafora nel sec. XIII, cfr. C. Crisciani, ‘Exemplum Christi’ e sapere. Sull’epistemologia di Arnaldo da Villanova in “Archives internationales d’histoire des sciences” 28 (1978), pp. 245-92.

(7) – Il testo latino è introdotto da una allitterazione (desperantes de eius salute … contracta debilitate).

(8) – Tutto il dialogo evoca diversi precedenti nella tradizione agiografica. Puntualmente si cita Agostino, De utilitate ieunii, cap. 10 ed. S. D. Ruegg, 1969 (CC SL 46).

(9) – “Amat Deus disciplinam … falsa innocentia est habenas laxare peccatis”: Agostino, En. in Ps. 50, 24 (NBA XXV, 1328). L’alternativa posta da Nicola evoca il consiglio evangelico in Matth. 18, 8 e Marc. 9, 42.

(10) – Ps. 93, 13 (da cui frequentemente nella patristica antica e medievale).

(11) – Si tratta, secondo la tradizione, di Francesco da Monterubbiano: eletto a Napoli nel 1300, morirà a Gand (Gent) nel 1307.

(12) – Pietro ricorre all’anafora per solennizzare la decisione di Nicola, come in una riconferma del voto monastico.

(13) – Le espressioni usate evocano la situazione illustrata nel precedente capitolo e subito dopo al § 20: quello che si teme del tentatore è soprattutto la sua insidiosa inteligenza (le altitudines Satanae di Apoc. 2, 24 nella forma della diabolica subtilitas evocata dai Padri).

(14) – L’allitterazione parva particula piacque anche ad Agostino, che qualche volta la usa.

(15) – Cfr. 2Cor. 9, 7: “Hilarem datorem diligit Deus”.

(16) – Qui la tradizione del testo è danneggiata e divergenti le testimonianze; per correggere intanto il periodo che si legge nell’edizione del Mombrizio, i Bollandisti ricorrono all’edizione di L. Surio, che seguo nella traduzione. In questo punto una redazione della Vita inserisce il miracolo della resurrezione della pernice, fortunato nell’iconografia, che i Bollandisti non ritengono a testo.

(17) – Gen. 3, 6.

(18) – Luc. 4, 2-3.

(19) – Leggo patefierent invece che paterentur, come in Mombrizio, preferendo questa soluzione alla correzione dei Bollandisti, che propongono pateretur (riferendolo a Nicola): tutto il discorso sembra reggersi sul fatto che Nicola gioiva della sua astinenza in virtù della sua valetudo.

(20) – Altra allitterazione ricorrente in Agostino.

(21) – Ps. 108, 26.

(22) – Ps. 93, 17.

(23) – Si noti questa citazione da Eccl. 9, 7, perché nel testo biblico subito si aggiunge: “Vade ergo et comede in laetitia panem tuum et bibe cum gaudium vinum tuum”.

(24) – Ps. 121, 1

(25) – Iac. 1, 2.

(26) – Iob. 1, 12.

(27) – Luc. 1, 43.

(28) – Gen. 3, 19.

(29) – Consilium sanitatis mi pare qui quasi del linguaggio tecnico dei medici del tempo; l’evocazione della prescrizione terapeutica ha quindi sapore ironico.

(30) – Espressione tipica nei racconti agiografici: proprio in questa forma, ad esempio, si legge anche in Sigebertus Gemblacensis, Vita Maclovii Alectensis, ed. G. H. Pertz, 1948 (MGH SS 8).

(31) – Tutto il periodo evoca l’esperienza di Giovanni Battista, infine richiamandosi esplicitamente a Matth. 11, 8 e Luc. 7, 25.

(32) – Luc. 18, 1.

(33) – Ricorda qui Ex. 28, 9 nella descrizione dei costumi sacerdotali.

(34) – Sulla base di un’epigrafe di cui non dice l’antichità, il Torelli riferisce che la lampada fu miracolosamente restaurata da Nicola e l’olio raccolto; già i bollandisti notavano che nessuna delle fonti antiche ricorda il fatto.

(35) – Episodi del genere, come quelli immediatamente seguenti, ricorrono nelle fonti agiografiche. In particolare l’espressione segnalata ricorre in Pietro Venerabile, De miraculis libri duo, I, 17 ed. D. Bouthillier, 1988 (CC CM 83), che racconta una analoga illusio.

(36) – Nel testo latino il periodo ha un duplice chiasmo.

(37) – Ps. 117, 6.

28. Come piaceva al Signore per le orazioni, così Nicola piaceva a Dio e al prossimo per le opere di pietà. Visitava i malati partecipando così intensamente alla sofferenza che qualsiasi cosa utile e buona avesse potuto trovare per loro, l’acquistava e l’offriva. Era preso per loro da tanta pietà che, pur trovandosi in un certo momento lui stesso incapace di camminare senza bastone (in ragione delle ferite di cui si è parlato), tuttavia non tralasciava di visitarli, confortando quegli infermi con quelle parole divine che custodiva nel cuore, come frecce acute [1]. Incontrando sani e malati non poteva saziarsi di predicare e di annunciare la mirabile dolcezza della parola di Dio [2]. Compativa soprattutto i deboli e tanto pregava, digiunava, celebrava, versava lacrime per i molti peccatori che si confessavano a lui, affinché fossero liberati dalla catene dei peccati. Amava i poveri e li nutriva con la parola e con la fede; acquistava per loro vestiti e cibi. Accoglieva volentieri i frati ospiti, come se fossero angeli [3]. Era letizia ai tristi, consolazione degli afflitti, pace dei divisi, refrigerio degli affaticati, sussidio ai poveri, rimedio singolare per i prigionieri.

29. Tanto risplendeva per la carità da ritenere morire un guadagno non solo per Cristo [4], ma anche per il prossimo. Dava poca importanza al tenore di vita dei frati, essendo egli stesso contento di poco. Per grazia di questa virtù non si preoccupava delle cose proprie [5] ma di quelle di Gesù Cristo, anteponendo non le cose proprie alle altrui ma le altrui alle proprie, per essere pienissimo osservatore della Regola del padre suo santissimo Agostino il quale, in quel luogo in cui espone le parole dell’apostolo Paolo, osserva: “La carità di Dio, della quale è scritto che non cerca le cose proprie ma le comuni, così si intende che non le proprie alle comuni ma le comuni alle proprie antepone ” [6]. Inoltre le sue parole, provenendo da un cuore pieno d’amore divino, non sapevano affatto di vanagloria e di superfluità, ma erano tutte piene di pietà ed onestà edificanti. E poiché tanta santità non poteva non splendere nel mondo (poiché Cristo vera luce [7] non accende mai qualche lucerna in qualche santo per metterla sotto il moggio ma sopra il candelabro della manifestazione affinché risplenda per tutti coloro che sono nella casa della Chiesa) [8], fu davvero giusto che si compisse un presagio singolare per lo splendore dei meriti.

30. Colui il quale un tempo aveva manifestato a Giuseppe (figlio del patriarca Giacobbe) il sole e la luna e le undici stelle che lo adoravano [9], nuovamente mostrò al sant’uomo Nicola, il segno dell’astro splendente, indizio dei suoi miracoli e della sua meravigliosa santità. Accadde infatti una volta che, avendo il santo a lungo vegliato in orazione nella sua cella, un poco si addormentasse ed ecco una stella splendente gli apparve nel sonno; era una luce di grande dimensione, che si muoveva di moto rettilineo, non in alto ma quasi a terra. Gli sembrava che il primissimo inizio di quest’astro fosse in Castello di Sant’Angelo, da cui Nicola aveva tratto origine, progredendo in linea retta per trovare infine stabilità e meta, davanti all’altare dopo il coro dell’oratorio di Tolentino (che in quel tempo si trovava vicino al chiostro); era l’altare dove il santo era solito celebrare la messa la mattina e dove poi spesso si fermava a pregare, di giorno e di notte. Allo spettacolo di quel prodigio vedeva convenire genti di diverse province e di diverse lingue.

31. Percependo con sicurezza questo segno straordinario e molti altri, il suo animo si trovò riempito di stupore e siccome desiderava intensamente di conoscere il significato di questo segno, con semplicità riferì tutto quello che aveva visto ad un frate che era conosciuto per il grande valore di giudizio e di scienza. Quello rispose con una parola davvero profetica: “Padre, non vi è dubbio alcuno che questo astro sia presagio della tua santità, né vi è dubbio in me che l’astro concluse il suo tragitto proprio là dove il tuo corpo sarà sepolto; a causa dei molti miracoli che lì si compiranno, le genti dappertutto si affretteranno a venire per ricevere i benefici della salute, genti che non ti avevano prima conosciuto e che adoreranno la tua tomba con reverenza”. Il sant’uomo illuminato dall’umiltà, che aveva massimamente a cuore, rispose: “Abbandona, fratello, quest’opinione a mio riguardo, perché fui sempre servo inutile di Cristo [10]: Dio stesso mi mostra che tu non interpreti bene la mia visione notturna”.

32. Dopo qualche giorno accadde di nuovo che, mentre Nicola si recava secondo la sua consuetudine in oratorio, una stella lo precedesse con un moto lentissimo per fermarsi proprio dove si trovava l’altare di cui si è parlato. Il fatto si ripeté nei giorni seguenti e il santo comprese che quella stella che in sogno aveva veduto era davvero annunciatrice di qualche verità. Ogni volta che entrava nell’oratorio la stella lo precedeva; quando il sant’uomo, terminate le sue devote orazioni, si allontanava, la stella scompariva; ritornando lui all’altare pure la stella subito riappariva sopra quel luogo [11]. Essendo stato reso certo di ciò molti anni prima della sua morte, quando poi si ammalò e si trovò vicino alla sua dipartita dal mondo, ai frati con carità prescrisse di seppellirlo presso quell’altare e stabilì che mai in nessun tempo e a nessuna condizione il suo corpo fosse rimosso da quel posto.

33. O verità di Cristo, non sei mai ingannevole e porti ad una luce di meraviglioso splendore le cose nascoste nelle tenebre [12]. Tu infatti mostrasti la stessa stella che precedeva il sant’uomo, a segno vivente della sua santità, a numerosi e diversi popoli, la mostrasti sopra la sua sepoltura, ancora dopo la sua morte. Per molti anni infatti, nel giorno anniversario della morte dell’uomo di Dio, fu consuetudine che molta e varia gente venisse da ogni dove ad onorare il suo corpo, rimedio per la salute, e anche allora come un tempo la stella si mostrava a tutti quelli che la volevano vedere proprio sopra la sua sepoltura, come fosse un astro immobile. Ciò avveniva affinché fosse chiaramente dato ad intendere che il beatissimo Nicola non solo risplendeva in terra per i suoi miracoli ma anche in cielo era rallegrato da premi eterni.

34. Come una stella, il beato Nicola risplendeva fra le tenebrose nubi dei peccati [13], non solo con i raggi della santità della sua vita, ma anche per le gloriose folgori dei suoi miracoli. I suoi luminosi meriti non potevano rimanere senza l’effetto della loro potenza anche nella misera vita, per l’immensità della grazia e la fecondità della virtù [14]. Un abitante di Tolentino, chiamato Bernardo, della terra di Pigia [15], partì per nave attraversando il mare; partendo aveva affidato a un tale la moglie Margherita che aspettava un figlio. Prima che il marito tornasse, la donna partorì un bambino sano e bello; colto però da una malattia poco dopo, il neonato morì e fu sepolto con grande dolore della madre. Quel dolore fu causa di una malattia della donna che da allora tutte le volte che arrivava a partorire sempre partoriva un feto morto. La donna, così ammalata, molte volte rimase incinta, all’incirca per sette anni; avendo sempre partorito un feto morto, pensando di essere di nuovo inutilmente in attesa di un bambino, piangeva e si tormentava.

35. Non appena il sant’uomo lo venne a sapere, dalla conversazione ricorrente, la compatì e dedicò a lei per più giorni la sua preghiera; divenuto come sicuro per la vita dei futuri figli, disse alla donna: “Abbi fede, benedetta dal Signora, non dolerti e non lamentarti più; ecco che ti nascerà una figlia viva, che non sarà priva dello spirito vitale ricevuto dal creatore, il mio Signore, Gesù Cristo. Confidando nell’amore misericordioso di lui, oso dirti che da ora non partorirai mai un figlio o una figlia che non siano destinati alla vita”. Giunto il tempo di un nuovo parto, la donna partorì in effetti una figlia viva e vegeta e così da allora (secondo la previsione del sant’uomo) quella donna generò sempre figli vivi. Riconoscendo che ciò avveniva in virtù delle sue preghiere, ella non cessò mai di lodare e ringraziare, secondo quanto poté, colui che elargisce ogni bene e il beato Nicola.

36. Ci fu un’altra figlia di questa donna, di nome Cecca, che, ancora piccola, ebbe un gonfiore sotto il mento, grande come un uovo d’anatra. Si decise di chiamare il medico affinché col suo consiglio la fanciulla potesse esser curata. Il medico, diagnosticata la malattia, consigliò di procedere ad un’incisione. La madre, timorosa dei pericoli di un’operazione del genere, fra gemiti e pianti, non sapeva che fare. Dentro di sé si ripeteva: “Mia figlia morirà se sarà toccata dal ferro del medico [16]; ma se la lascerò in questa condizione ella pure morirà, presto sopraffatta da un pessimo male”. Il sant’uomo, intuendo nel suo spirito questo dolore, chiamò un messaggero e gli ordinò: “Vai da quella donna, per scoprire quale sia la causa del suo tormento”. Il ragazzo va e torna; riferisce al sant’uomo la ragione di quella sofferenza. Il santo lo rimanda dalla donna, per comandarle di portare a lui la fanciulla. La madre porta in braccio la bambina e dice al sant’uomo: “Veramente so e credo che la mia bambina sarà liberata grazie a te” [17]. Quello gli rispose: “Taci e non osar dire questo di me: prega Dio, la Madre di Dio e sant’Agostino, perché tua figlia sia restituita alla buona salute”; fatto quindi il segno della croce sulla fanciulla e toccatele la parte malata, Nicola dice ancora: “Vai. Il mio Signore Gesù Cristo conceda a te la consolazione che desideri”. La donna, cosciente del potere del sant’uomo, non appena fu a casa controllò la figlia senza trovare traccia del gonfiore e della malattia.

37. Alla stessa donna nacque frattanto un figlio maschio. Le sue labbra e le altre membra sembravano muoversi appena. Per questo le donne che assistevano alla nascita decisero di battezzare il bambino, ma mentre lo battezzavano si resero conto che il corpo non mostrava più alcun segno di vita. La mamma si mise a piangere, esclamando: “Ho dato alla luce un bambino la cui anima è dannata”. Il sant’uomo è chiamato allora a visitare quella donna in preda al dolore, per raccontare a consolazione di quella madre che cosa aveva visto nella notte riguardo all’anima del figlio. “Stavo dormendo – le disse [18] – quando ecco che l’anima del tuo bambino è stata deposta nelle mie mani. Tutto intorno a me si piazzarono i demoni che ragionavano tra loro e dicevano: “L’anima di costui è nostra perché quando è morto non era ancora perfettamente battezzato”; io, pur riconoscendomi debole, supplicai Dio per l’anima che era stata affidata alle mie mani; lo supplicai affinché inviasse dall’alto un angelo di salvezza come difensore e sostenitore di quella anima perduta. Alla sua pietà piacque di mandare un angelo molto forte il quale, cacciati i demoni, prese dalle mie mani l’anima che era destinata alle sedi celesti. Consòlati dunque e non essere turbata per i giudizi di Dio e pensa anche che è meglio che tu abbia generato un figlio al cielo altissimo che a questo mondo malato. Qualunque cosa tu abbia poi visto in me misero della grazia concessa da Dio, non osare dirlo a nessuno e in nessun modo, finché vivrò”.

38. La donna di cui qui si parla è quella donna che ben conoscendo la santità dell’uomo di Dio, nel giorno in cui il santissimo suo corpo fu condotto alla sepoltura in mezzo a tantissima gente che era accorsa ad onorarlo, non potendo avere alcuna sua reliquia, riuscendo a portarsi vicina al feretro, lavò le mani e i piedi del santo. Ripose poi con reverenza l’acqua di quel lavaggio in un’ampolla pulita e quell’acqua è divenuta poi strumento di guarigione per molti infermi. A proposito di essa un altro fatto meraviglioso si osserva, perché quando si conserva a lungo dell’acqua, questa ristagnando è solita putrefarsi; l’acqua raccolta dalla donna invece, conservata per ventotto anni, non dette mai alcun segno di putrefazione; apparendo sempre chiarissima, rimase sempre incorruttibile.

Note

(1) – Ps. 119, 4. In questo senso in vari autori, in part. Agostino e Bernardo.

(2) – Cfr. Agostino, Conf. IX, 6

(3) – Hebr. 13, 2.

(4) – Phil. 1, 21.

(5) – 1Cor. 13, 15.

(6) – Agostino, Epist. 211, 12.

(7) – Ioh. 1, 9.

(8) – Cfr. Matth. 5, 15.

(9) – Gen. 37, 9.

(10) – Luc. 17, 10.

(11) – Cfr. Matth. 2, 7-9.

(12) – Cfr. Iob 12, 22 e 28, 11.

(13) – Is. 44, 21.

(14) – All’inizio di questa nuova parte del testo, dedicata ai miracoli, la metafora delle luci celesti (raggi e folgori) e il chiasmo di quest’ultima espressione, servono a dare un certo tono solenne, appunto d’apertura; nell’edizione del Mombrizio non è però indicato qui l’inizio di un nuovo capitolo.

(15) – Qui il testo edito negli AASS non sembra riportare la lezione giusta.

(16) – Qui inizia un confronto tra il santo e i medici, che caratterizza molti dei miracoli che seguono..

(17) – Qui e di seguito, si evocano espressioni dei racconti evangelici dei miracoli di Gesù. 

(18) – Il testo del Mombrizio qui non dà senso, si preferisce la lezione tramandata da Giordano di Sassonia per il brano iniziale del racconto (manca del tutto al Mombrizio il brano che comincia “Stavo dormendo …” fino a “… nelle mie mani”). È questo un altro punto che mostra la necessità di un’edizione critica.

39. Abitava a Tolentino Verdiana, moglie di Compagnone di Macerata; era così gravemente afflitta da una malattia, che gli occhi e tutta la faccia risultavano tanto stravolti da congiungersi quasi alle orecchie. La donna recandosi allora con grande devozione presso il sant’uomo, gli chiese di essere benedetta e toccata. Mosso a compassione, Nicola la benedisse dicendo: «Il mio salvatore, Gesù Cristo, ti risani». Subito gli occhi, la bocca e tutta la faccia tornarono nella loro posizione naturale. Questa stessa donna aveva un figlio, al quale – caduto nel fuoco per la cattiva custodia – si bruciarono un braccio e una mano. Anzi il fuoco gli aveva così profondamente invaso la mano che per la liquefazione della carne provocata dal calore le dita sembravano aderire l’una all’altra. La madre del ragazzo, dato che non ignorava che nel sant’uomo vi era una divina virtù (avendo ricevuto in se stessa un miracolo), tornò da lui, piangendo insieme col figlio e del figlio supplicandone la guarigione [1]. Anche a lui il sant’uomo disse: «Il mio signore Gesù Cristo lo risani» e fatto su di lui il segno della croce, immediatamente avvenne che le dita e la mano col braccio si ricostituirono, tanto perfettamente che non sembrava che il fuoco le avesse mai toccate.

40. Viridiana, della città di Tolentino, per una malattia degli occhi non poteva veder niente. Si interpellarono i medici e secondo il loro consiglio le vennero eseguite alcune punture in testa [2]; ma le punture non servirono, anzi peggiorarono la situazione, tanto da farle perdere forza alla testa. Verso cosa la spinge, allora, l’angoscia? Non trovando un medico temporale, la donna ne cercò uno spirituale [3]. Le venne subito in mente di interpellare il sant’uomo Nicola. Fu condotta da lui che stava celebrando la Messa e rapida cominciò a pregarlo con grida inopportune, affinché il sant’uomo dicesse sopra il suo capo un Pater e facesse sulla sua testa un segno della croce. Ella diceva: «Spero nel mio Dio, che per i tuoi santi meriti mi guarirà». L’uomo si vergognò dell’elogio, tuttavia fu costretto dall’insistenza inopportuna e, recitato il Pater e fatto il segno della croce sul capo della malata, le disse: “Vai sicura, il Signore sostiene i piegati; il Signore rende la vista ai ciechi” [4]. Subito le fu in effetti restituita la vista e il capo cessò di soffrire. Veridiana Bonioni di Tolentino aveva un figlio il quale una volta scivolando in avanti cadde nel fuoco e si bruciò tutta la faccia; in conseguenza di questo incidente perse la vista. La madre ne soffriva e desiderava trovare un rimedio per una tale menomazione: non trovandolo altrove ricorse alle preghiere di Nicola: lui, toccato suo figlio, lo liberò.

41. Ci fu poi una donna chiamata Genantessa, figlia di Nicola di Tolentino, che non voleva ubbidire alla volontà del marito; la donna fu spogliata dal marito stesso e punita durissimamente con una robusta cintura. Accadde che mentre la colpiva la fibbia di ferro le colpisse una mammella: la colpì con tale forza da spezzarla in quattro parti, con grande perdita di sangue. A causa della ferita la donna si ammalò di una fistola. Nessuna cura dei medici riusciva a procurarle qualche giovamento; capitò allora che la visitasse una vicina (che aveva sofferto molto per otto giorni dei dolori del parto, da cui poi era stata liberata dal sant’uomo) e la esortò a rivolgersi a frate Nicola con devozione. Genantessa, convinta da quella vicina, corse e piangendo pregò con reverenza l’uomo di Dio perché segnasse col suo segno di croce la sua mammella. Il sant’uomo, vedendo la crudeltà subita, fece il segno della croce su di lei e disse: «Ti sani colui che si degnò sanare le mammelle del petto della beata Agata; se il Signore ti concederà questa grazia, bada bene di non dirlo, ma loda in cuor tuo Gesù Cristo, Medico del mondo». Ritornata a casa e sciolte le mammelle, la donna non trovò più alcun segno del male.

42. Fra Giovanni di Monticulo, anziano dell’Ordine e notevole per l’onestà della vita e dei costumi, era tormentato nelle parti inferiori per un’ernia, tanto grave da non riuscire a sostenerne il peso. Animato da grande devozione, chiamò a sé il beatissimo Nicola e gli disse: «Per amore del sangue effuso da Cristo, frate Nicola, ti supplico di non provar ribrezzo a toccare questo luogo di dolore». Il sant’uomo, compatendo tanto dolore e l’escrescenza che suscitava vergogna, premesso il segno della croce toccò il punto dolente. Non ci fu bisogno di aspettare: le viscere rientrarono nel loro luogo naturale e consueto e lì furono consolidate. Una donna di Tolentino chiamata Duncella, soffrendo da oltre un anno per un flusso di sangue e non potendo esser curata dai medici in nessun modo, venne portata al sant’uomo. Lui, spinto dalle preghiere insistenti di coloro che l’accompagnavano, dopo aver fatto il segno della croce toccò la donna. Quella sentendosi liberata tornò subito a casa.

43. Un tale chiamato Tommaso, che stava tagliando la legna, accidentalmente si colpì così violentemente il piede con un’ascia, che lo tagliò fino al nervo. Siccome i medici disperavano di poterlo curare in alcun modo, l’uomo fu portato con molta devozione da san Nicola e lo supplicava affinché prontamente si degnasse di fare sul suo piede un prodigio. Il santo, rimosso il cataplasma e vista la ferita, quasi stupefatto disse: «Figliolo, Dio ti aiuti a guarire presto». Dopo aver detto su di lui il Pater comandò che fosse rifasciato come prima e fatto il segno della croce disse ancora: «Vai in pace, figlio, e poiché sei così gravemente ferito, Cristo, mio Salvatore, aiuti la tua fede». Il ferito intanto, sebbene non si immaginasse che subito sarebbe avvenuto il prodigio, tuttavia percepì di star meglio e lui che era venuto a cercare l’aiuto divino non disprezzò quello umano. All’ora stabilita venne dunque il medico e togliendo le fasce dal piede si accorse che non vi era alcuna traccia di ferita. Vedendo questo il malato esclamò: «Oh Nicola, uomo di Dio, per i tuoi meriti oggi sono stato guarito da una ferita che era atroce»; licenziando subito il medico, corse affrettandosi dal nobile padre e lo ringraziò di fronte ai frati. Nicola – infastidito dai ringraziamenti – lo pregò di attribuire il fatto alla propria fede e al fervore della devozione con cui si era rivolto a Dio e non ai suoi meriti. Gli disse anche di non rivelare il fatto a nessun altro per tutta la sua vita, a meno di non voler incorrere nella maledizione dell’imprecazione.

44. Viveva nella stessa zona un tale chiamato Minalduto e viveva in povertà. Era solito comprare un po’ di frumento per la sua casa, in varia misura a seconda del momento. Decideva poi con la moglie come e quanto pane preparare e conservare. Comprata dunque una volta una salma di frumento e cotto con quella il primo pane, capitò a sua moglie di dare un pane al sant’uomo che secondo il costume dei mendicanti le aveva chiesto l’elemosina. Il sant’uomo prese a benedire la povera benefattrice, dicendo: «Quel Dio per amore del quale pur essendo povera compisti con amore questa gioiosa elemosina, moltiplichi a te la farina che conservi» [5]. Né il sant’uomo interruppe questa preghiera fin tanto che non fu giunto al convento, che del resto era vicino alla casa della donna.

45. Essendo giunto il tempo di rifare il pane, la donna si recò alla credenza e avendola trovata zeppa e sovrabbondante di farina rese grazia al Salvatore e al beato Nicola, per il grande dono che si era degnato di offrire. La donna però ritenne di non parlarne e nascose al marito il segreto. Essendosi avvicinato il tempo in cui si poteva stimare che la farina fosse prossima a finire, Minalduto, da buon padre di famiglia, si consigliò con la moglie a proposito del frumento da acquistare, ma la moglie non gli rispondeva, per quanto il marito più volte la interpellasse sulla misura che le pareva necessaria. Siccome lui insisteva, ella non riuscì più a trattenersi: lo portò a vedere la credenza stracolma e gli spiegò come avesse ottenuto ciò.

46. Non solo così il Re eterno volle illuminare il suo servo fedelissimo, ancora durante la vita presente, ma volle cose assai superiori per mostrare quale gloria potesse sperare. Infatti nel periodo di sei mesi che precedette la sua morte gli fece ascoltare, prima che suonasse l’ora mattutina, un soavissimo canto e ne era così tanto dilettato che lo si sentiva dire: «Desidero morire ed essere con Cristo» [6]. Da questi eventi il sant’uomo riconobbe di essere oramai prossimo all’ultimo termine della sua vita e preannunciò che la sua morte era vicina. Era già da tempo zoppo, a causa di quell’attacco del diavolo di cui abbiamo parlato, ma in quest’ultimo periodo fu tormentato da una più grave infermità; mentre prima poteva camminare col bastone, si trovò costretto a letto e presso di lui malato molti accorrono per ottenere la grazia di una benedizione.

47. Una donna di nome Blanda, di Tolentino, avendo sofferto per quindici anni per un dolorosissimo mal di testa, tanto forte che spesse volte non era in grado né di vedere né di ascoltare, visitandolo mentre era a letto malato, lo implorò perché si degnasse di toccarle il capo. Non appena ebbe toccato il capo della donna e dopo avergli fatto il segno della croce sopra, subito e del tutto si placò in lei ogni dolore. Per la morte di Tommaso, frate del nostro Ordine, sua sorella pianse senza interruzione e tanto pianse che si formò nei suoi occhi un’apostemata tale da non consentirle di vedere più niente. Fu condotta da San Nicola; saputa la ragione per la quale la donna aveva perduto la vista, mosso da pietà, cominciò lui stesso a piangere per la morte di fra’ Tommaso: gli pareva infatti che con lui l’Ordine di Sant’Agostino avesse perduto un uomo che sarebbe stato ancora di grande aiuto. Toccando la donna, dopo aver fatto il segno della croce, disse: «Dio, Gesù Cristo mio Signore, abbia misericordia della tua tristezza e restituisca la salute ai tuoi occhi, affinché tu veda la bellezza delle cose in eterno». La malata fu sollevata dalle parole del sant’uomo ed uscì dalla sua cella; entrò in chiesa e le tornò la vista, poiché una grande luce era giunta ai suoi occhi. Allora cominciò a dire a tutti quelli che erano con lei: «Osservate se qualcosa del male è rimasto nei miei occhi! Ecco prima non vedevo, e ora ci vedo». Con queste parole e con gli occhi sani come prima, tornò a casa.

48. Si sa che è tipico delle menti dei buoni vedere una colpa dove colpa non c’è. Accadde dunque che, giunto ormai vicino alla morte, Nicola volle chiamare i frati e così parlò loro: «Sebbene non abbia coscienza di colpe, non per questo mi ritengo giustificato: perciò se mai qualcuno ho danneggiato o se ho recato offesa a qualcuno, vi prego di giudicarlo voi stessi e vi prego di perdonare i miei peccati, affinché anche i vostri debiti siano rimessi [7]. Prego te, priore, di darmi l’assoluzione dai miei peccati e di impartirmi i sacramenti della santa madre Chiesa; soprattutto desidero ricevere il Corpo del Signore, affinché con tale viatico non venga meno nel viaggio tra questo mondo e la patria celeste, se il mio nemico Belial mi venisse incontro – per quanto esigono i mali che ho compiuto – con confidenza possa resistergli».

49. Così, circondato dai frati, uniti a lui in un’unica preghiera comune, ricevuta l’assoluzione dei peccati, egli assunse il corpo di Cristo, dicendo: «Benedetto chi viene nel nome del Signore» [8]. Dopo di ciò, rivolto al priore chiese: «Ti chiedo ancora questo: prima che io muoia, mostra a questi miei occhi mortali la croce d’argento fabbricata per mia iniziativa con le elemosina raccolte dagli ottimi abitanti di questa città [9]; quella croce nella quale con la mia supervisione fu inserita la reliquia del vero legno della santissima croce. Mostramela, affinché per sua virtù, come sostenuto dal sostegno dell’altissima potenza, possa liberamente attraversare il Giordano [10] di questo secolo e affinché possa felicemente arrivare al fiume del Paradiso, candido come il cristallo [11], in entrambi i lati del quale si trova Gesù Cristo, albero di vita».

50. Non negandogli quel desiderio, il priore comanda che la croce indicata dal santo sia portata; il sant’uomo, avendola vista e sollevatosi nel letto come poteva, con una inondazione di lacrime disse: «Salve, bellissima croce, che fosti degna di portare il prezzo del mondo; sopra di te il Salvatore riposò e sedette, sudò il rosso sangue per il tormento della passione; offrì misericordia al ladrone che lo implorava e riconoscendo sua madre l’affidò al discepolo rimasto vergine ed infine invocò il Padre per coloro che lo stavano crocifiggendo. Lui attraverso di te mi difenda dal maligno nemico in quest’ora». Così, baciata questa croce, come prima giacque. Chiamò a sé uno dei presenti che lo assistevano e gli disse: «Ricordati di intonare ai miei orecchi il salmo: Sciogliesti le mie catene e a te offrirò un sacrificio di lode, in modo che, se da solo in questa carne affaticata non riuscissi a dir niente, nella mia memoria tuttavia glorificherò il Signore» [12].

51. I frati che lo vedevano incolume nella memoria, ora gli si avvicinavano ora si allontanavano. Una voce di gioia e allegra era udita da quelli che si allontanavano; era sì la sua voce, ma con qualcosa di diverso, e questo non è strano perché lui che era solito render grazia a Dio nell’attesa e nella speranza, ora cominciava a lodarlo contemplandolo nel suo vero aspetto. Così infatti quando gli chiedevano: «Padre, da dove viene tanta letizia?», quello attonito per la visione ricevuta rispondeva: «È Dio, il mio Signore Gesù Cristo, il quale unito a sua Madre e al nostro padre Agostino, mi dice: “Alzati, servo buono e fedele; entra nella gioia del tuo Signore” [13]. Da queste parole i frati che erano vicini compresero che prossimo era il suo transito e con le preghiere consuete invocarono Dio e i santi. E mentre egli stesso disse: “Nelle tue mani affido il mio spirito”[14] con le mani giunte al cielo e con gli occhi rivolti alla croce che gli era stata messa davanti, con volto ilare e giocondo rese il suo Spirito a Dio.

Note

(1) – L’espressione è qui ricercata; in poche parole ricorrono prima una litote,”non ignorabat”) poi un poliptoto in una formula chiastica (“lacrimans cum filio, filii sanitatem postulans”).

(2) – Anche qui il ricorso alla traiectio nel testo latino, mostra la ricerca di un certo effetto.

(3) – Questo confronto tra medicina degli uomini (spesso impotente) e medicina di Dio (veramente efficace) è un tratto caratteristico della Vita; Pietro entra spesso nei dettagli delle cure tentate, utilizzando talvolta un gergo tecnico. Come vedremo chiaramente nel miracolo del taglialegna Tommaso, egli non stimmatizza il ricorso alla medicina umana ma ne stabilisce i limiti.

(4) – Ps. 145, 8.

(5) – Come nei precedenti il miracolo evoca un tema evangelico (la speciale riconoscenza per la povera benefattrice). Qui però il contenuto del fatto ricorda anche un famoso miracolo di san Domenico e il motivo della gioiosa elemosina richiama un grande tema paolino: “Hilarem datorem diligit Deus”. II Cor. 9,7.

(6) – Phil. 1, 23.

(7) – 7. Matth. 6, 12.

(8) – Matth. 23, 39; Marc. 11,9; Luc. 13, 35; Ioh. 12, 13 e Ps. 117, 26.

(9) – Nel testo latino, il chiasmo dà solennità dell’espressione.

(10) – Ios., 4,7.

(11) – Apoc. 22,1.

(12) – Ps. 115, 16-17 per cui cfr. anche Conf. 9, 1.1.

(13) – Matth. 25, 23.

(14) – Luc. 23, 46, cfr. Psal. 30, 6.

52. Il Signore volle sì render splendido il suo santo nel momento dell’inizio della vita, come nel suo svolgersi e anche nella sua conclusione, tuttavia ancora più perfettamente volle farlo dopo la morte [1]. Tanto moltiplicò attraverso di lui i segni meravigliosi e i prodigi che chi volesse recitarli o scriverne, avrebbe bisogno della penna dello scriba che scrive velocemente [2], di quello cioè che non con calamo o con stilo, ma con il dito della sua potenza incise le tavole di pietra sul Sinai [3]. Sono già passati vent’anni da quando il Signore – che solo fa grandi meraviglie [4] – si degnò di mostrare ai suoi fedeli innumerevoli tipi di miracoli di questo Santo. Addirittura il numero di questi miracoli a tal punto si è accresciuto che una copiosa moltitudine di notai, quasi vinta dai molteplici scritti meravigliosi, non può esser trattenuta con il premio dovuto per ricompensa [5]. Dal mare di tanti miracoli io ho pensato di attingerne alcuni, non tutti, cosa che sarebbe impossibile.

53. Gesù Cristo, vera luce [6], guardando dalla sede della sua grandezza [7], per i meriti del nostro santo, restituì la luce a molti, privati della vista. Una tale di Civitanova, chiamata Masetta, figlia di Alessandro, risultava del tutto cieca. Pieno di tristezza suo padre, non potendo ricevere nessun aiuto dalla medicina, decise di ricorrere al Medico Celeste [8] e non stancandosi di implorare l’aiuto del beato Nicola prontamente lo supplicava battendosi il petto [9]. Non ci volle molto che la ragazza vedesse meglio di prima e suo padre fu invaso da una singolare letizia.

54. Dimisia di Zacheo di Enrico di Bernardo di San Severo soffriva così tanto all’occhio sinistro che, privata della vista, non poneva alcuna speranza nei medici. Si affidò dunque a san Nicola, con la promessa di alcuni doni; tuttavia poiché la sua richiesta non era radicata nella fede, ella fu colpita dalla malattia in modo ancora più grave. Una volta però che fu corretta la sua debolezza, ella rivolse di nuovo le sue preghiere al beato Nicola con più ardente affidamento; ripetuto il voto, subito allora dal suo occhio cadde una scaglia e alla luce di un tempo ella è restituita. Per invidia dell’antico nemico [10], la figlioletta che teneva sulle sue ginocchia colpì l’occhio guarito con tale forza da farlo uscire dalla sua sede naturale. La donna di nuovo ricorse all’aiuto del beato Nicola e come prima fu risanata.

55. Andriolo Merio, ora abitante di Tolentino; ebbe un fratello carnale il quale fu colpito in modo talmente violento ad un occhio che secondo il parere dei medici non si poteva sperare di recuperargli in alcun modo la vista. Privato dell’aiuto umano, ricorse a quello divino: raccomandandosi ai meriti del beato Nicola, ebbe reintegrata la pupilla e subito la vista restituita. Tenacio di Ugolino di San Ginesio, essendo privato della vista, unitosi a un nutrito gruppo di pellegrini, voleva lui stesso giungere alla tomba del beato Nicola; era preso da tale e tanta devozione che sperava di riacquistare subito la vista, se solo fosse riuscito a giungere alla soglia della tomba del santo. Tuttavia, poiché in molti la carità si raffredda [11], nessuno pensò di accompagnare colui che era privo di vista, così accadde che colui che più velocemente doveva ricevere il beneficio della guarigione risanato, si trovasse ultimo fra coloro che camminavano.

56. Accadde allora una cosa meravigliosa. Giunta la notte decise, per celeste intuito, di fermarsi a dormire sotto un albero di ulivo. Nelle tenebre della notte e tra le bestie selvatiche è reso sicuro dalla fede nell’amato santo, come se lo avesse assistito una moltitudine di compagni. Colui a cui devotamente si era affidato, vedendo dall’alto tanta fede in modo meraviglioso donò la vista a chi tanto a lungo l’aveva desiderata. Infatti una luce dal cielo lo illuminò e lui che prima non poteva vedere niente poté vedere nella notte qualsiasi cosa, in modo chiaro e luminoso. La mattina senza alcun impedimento, rapido si reca alla tomba del beato Nicola e sciolto il voto loda Dio nel suo santo e lo onora. Anche Bona di San Severino aveva un figlio sofferente ad un occhio per un flusso di sangue che completamente gli impediva di vedere. Si rifugiò alla tomba del beato Nicola e subito – formulata la promessa ed adempiuti i voti – ottenne la guarigione del figlio.

57. Guilino di Bartolino di Monte Vulno, soffriva per un ascesso ad un occhio e da quindici giorni non riusciva più a vedere. A giudizio dei medici quell’occhio non poteva essere sanato. Si rivolse allora al Medico onnipotente. Offrendo un voto a Nicola, senza dover attendere, ottenne la purificazione dell’occhio e con essa la vista. Tommasina moglie di Materno di Monte Santo da due anni non vedeva: ricorse allora ai soliti aiuti del santo e subito ritrovò la vista perduta.

58. In seguito, mentre Dio moltiplicava miracoli e prodigi nel periodo della sepoltura del sant’uomo, una donna nobile di cui tacerò il nome a causa della sua esecrabile malvagità, ascoltando il suono delle campane che venivano suonate a render pubblico il moltiplicarsi di tanti miracoli, con temeraria audacia disse: Cosa prodigiosa! Non appena furono pronunciate quelle ingiuste parole, gli occhi uscirono fuori dalla testa del suo bambino che stava tra le braccia di una nutrice e i nervi degli occhi si distesero giù fino alla mascella, tanto da far sembrare un mostro il piccolo che fino ad un attimo prima dolce e bello era allattato. Piange la nutrice e la madre moltiplica la disperazione, ma è chiamato il padre. La disgrazia suscita meraviglia per la straordinarietà assoluta dell’accaduto.

59. Che altro? L’uomo viene a sapere della bestemmia pronunciata dalla moglie e si sforza di mutare in benedizione quella maledizione. Così loda il santo, cercando il suo patrocinio, ed esclama. Oh altezza di potere affidata al beato Nicola! Improvvisamente, mentre i genitori sono intenti con insistenza a querule lamentazioni o a pie postulazioni, gli occhi tornano a posto al piccolo cieco. Constatatolo, i genitori si recano devoti con i doni promessi alla tomba del santo.

60. Giovanni di Pietroboni di Sane, di Tolentino, aveva un figlio e una figlia che soffrivano per un flusso di sangue negli occhi. I loro occhi infatti invece di emettere come naturalmente deve avvenire un umore acquoso, producevano sangue. Constatando che i consigli dei medici erano inutili, Giovanni ricorse con devozione al medico singolare, il beatissimo Nicola, con devozione. Affidandosi con ardore al suo aiuto, Giovanni poté in breve vedere liberati gli occhi di entrambi i figli. Romano di Tommaso di Tolentino soffriva di oftalmia, una malattia degli occhi. Così da tre settimane ci vedeva male. Afflitto dalla malattia fece un voto e sostenuto dall’aiuto del beato Nicola, subito è liberato dall’oftalmia degli occhi. Servita, moglie di Bonistangi, ebbe un figlio. Questo fu colpito da un oscuramento degli occhi in maniera tanto grave che per un mese fu cieco, del tutto privato della vista. Per questo la madre è presa da un grandissimo dolore tanto che avrebbe preferito avere un figlio morto piuttosto che cieco. Allora imploro colui che non dimentica di aver misericordia [12] e affidò il figlio cieco al beato Nicola: ecco allora che colei che con sofferenze accompagnava un cieco prima del voto, pronunciato il voto, riottenne un vedente.

61. Come i ciechi vedono per i meriti del santo così anche gli zoppi non mancano di camminare [13]. Fino a poco tempo fa un tale a Firenze, se ne stava afflitto a chiedere l’elemosina, da due anni davanti alla porta della chiesa di Santo Spirito, del nostro Ordine [14]; non era soltanto storpio, malato alle gambe e ai piedi, e incapace di muovere le braccia, ma era pieno di ferite. In quella stessa chiesa era conservata un’immagine del beato Nicola alla quale molti infermi e malati accorrevano per domandare il beneficio della guarigione. Disse allora un frate allo storpio: .

62. Non appena il frate se ne fu andato nacque nel cuore di quel sofferente una devozione tanto grande che buttati i bastoni e gli altri strumenti con cui si sosteneva, cadendo per terra, pregò in lacrime, dicendo: . Subito allora, alla devota invocazione del sofferente le gambe contratte si distendono, le caviglie e i piedi si consolidano distendendosi, le mani tornano diritte. Si alza dunque colui che era disteso camminando in chiesa fino alla porta del chiostro e chiama i frati dicendo: . Alla voce dell’infermo i frati accorrono e arrivano anche molti laici. Allora viene suonata la campana e ancora più gente accorre ad osservare il miracolo [15]. Oh fede che fortemente ti raffreddi in molti! I fiorentini [16], lì accorsi incuriositi al primo richiamo, non lasciano riposare il risanato: ora qui ora là gli comandano di camminare, di distendere le braccia, di aprire le mani e di distendere tutto il corpo. Lo vedano di nuovo sano e vedono le piaghe cicatrizzate e secche. Constatano così che tutto il corpo è di un unico colore (come non era prima), la carne reintegrata e sana.

63. Un altro tale, di Tolentino, giaceva in un carretto tutto ricurvo, a causa della contrazione di tutte le membra; su quel carretto e in quelle condizioni era pure costretto ad espletare qui i suoi bisogni naturali. Per questo la vita gli era difficilissima e insopportabile. Perciò un tale, di nome Mercatante, avendolo visto passando, memore dei miracoli del beato Nicola, che allora era stato sepolto da poco, gli parlò. Quello rispose. Il passante replicò ancora. L’infermo subito disse: Cosa inaudita! Subito dopo aver detto queste parole, sotto gli occhi di molti, si alzò dal carretto e stando in piedi su un bastone poté camminare colui che prima giaceva su un carro. Il sant’uomo non accordò a colui che gli si era affidato di più di quanto aveva chiesto, affinché fosse chiaro che sì lui aveva in Dio il potere di compiere miracoli, ma l’infermo nel chiedere la guarigione aveva un poco dubitato nella fede. Come se avesse voluto parlargli.

Note

(1) – Nell’edizione del Mombrizio il testo in questo punto non dà senso; gli editori ricorrono dunque al testo del manoscritto senese, dandolo in note. E’ questo che traduciamo.

(2) – Ps. 44, 2, ma il testo edito dal Mombrizio, invece di calamus scribae velociter scribentis ha calamus velociter scribentis.

(3) – Ex. 31, 18; Deut. 9, 10.

(4) – Ps. 135, 4.

(5) – Si noti il riferimento ai problemi amministrativi legati al processo di canonizzazione.

(6) – Ioh. 1, 9. 7.

(7) – Sap. 9, 10.

(8) – La metafora del medicus supernus ricorre in Agostino; per la superna medicina cfr. anche Gregorio Magno.

(9) – Si noti che nel resoconto, pur sintetico, Pietro non rinuncia ad una formula è vagamente chiastica, anche per il ricorso all’allitterazione “implorare non cessans … concutiens plorabat”.

(10) – L’espressione – che evoca l’inganno di Satana nell’Eden – si ritrova in Agostino e ricorre nella liturgia; soprattutto però è consueta in Gregorio Magno e da lui spesso deriva nella tradizione posteriore.

(11) – Matth. 24, 12, nel discorso apocalittico di Gesù.

(12) – Ps. 76, 10.

(13) – Matth. 11, 5; Luc. 7, 22.

(14) – È possibile che si riferisca ora dello stesso miracolo narrato con lievi differenze dal testimone XVI nel Processo per la canonizzazione di san Nicola da Tolentino, praef. A. Vauchez, ed. D. Gentili, Roma, 1984, p. 124. Questo testimone – Berardo Appillaterra, notaio di Tolentino – aveva fatto parte del gruppo degli ufficiali fiorentini accorsi a verificare il miracolo di un paralitico risanato presso la chiesa di Santo Spirito ed era stato richiamato sul luogo dal suono a festa delle campane; in quella occasione egli ricorda che insieme agli ufficiali “interfuit magnus populus marum et mulierum”. Nel suo racconto però non vi è riferimento all’immagine di san Nicola venerata a Firenze e si dice che il paralitico era malato da più di dieci anni. Berardo evoca anche, pur genericamente, una quantità di miracoli avvenuti presso la sepoltura di Nicola all’indomani della sua morte. Se si trattasse dello stesso miracolo, la guarigione del paralitico fiorentino potrebbe essere datata al maggio del 1325, conformemente a quanto dice Pietro (“fino a poco tempo fa…”) e alla datazione presunta della Vita, che risale al 1326. Si ricordi per inciso che Pietro da Monte Rubbiano non fu tra i testimoni al processo; per questo problema cfr. Introduzione in Processo per la canonizzazione, cit., p. XVIII.

(15) – Il testo del Mombrizio non dà qui senso, per questo ricorro ai codici per integrare il periodo.

(16) – Si noti la rappresentazione dello scetticismo e della curiosità dei cittadini di Firenze, smentiti dall’evidenza del miracolo.

64. Giacomuzzo Gisi di Ortezano (una località del distretto di Fermo) era afflitto da un’infermità a causa della quale aveva la bocca talmente piegata e storta da apparire orribile a tutti. Chiese consiglio e cercò rimedi, ma essendo rimasto deluso da ogni aiuto umano, si affidò ai meriti del nostro santo: non dubitando, neppure con minimo dubbio (1), della sua santità, ottenne subito la guarigione. Un altro di Tolentino, che ora abita ad Ancona, aveva un figlio zoppo dalla nascita, infatti il piede destro, che secondo il modo naturale avrebbe dovuto portarsi in avanti, si piegava verso destra. Essendo quel padre venuto a sapere dei miracoli di cui era capace il beatissimo Nicola, al più presto e con grande devozione, gli affidò il figlio; lui non aspettò che fossero ripetute le preghiere di chi lo supplicava, ma esaudendo dall’alto il suo desiderio (2) subito regolò il piede del figlio ammalato, e il ragazzo che prima non riusciva a camminare diritto, ora senza impedimento e liberamente, camminando, si affrettava qua e là.

65. C’era poi un tale di Foligno, che essendo privato dell’uso di ogni suo membro, doveva essere trasportato da altri, con una specie di veicolo di legno. La fede e la devozione di quest’uomo crescevano all’udire i miracoli di un santo così straordinario e insistendo con molte preghiere, egli riuscì a farsi portare da Foligno a Tolentino dov’era custodito il santissimo corpo sepolto. Disteso a terra col suo corpo segnò di fronte al santo il confine della sua desiderata liberazione. Il santo si rese presente con la sua potenza su quel confine e le ossa dell’infermo cominciarono a distendersi (3). Che in quel luogo si compisse una meravigliosa opera fu particolarmente evidente per questo, che mentre le ossa e i nervi del corpo malato si distendevano si udiva un fragoroso rumore, come se un pezzo di legno prima storto fosse poi violentemente raddrizzato. Giunse gente dappertutto: quelli che lo avevano portato ed altri che si trovavano a visitare il sepolcro del santo: tutti furono come instupiditi dall’eccezionalità del fatto e atterriti (4) nello stesso tempo dallo stupore e da una pia devozione, esclamarono: ” Benedetto sia Dio e beatissimo Nicola! ” Allora colui che giaceva si alzò e lodò Dio nel santo per aver ascoltato le sue preghiere e avergli restituito membra tanto belle in luogo di quelle di un tempo, incapaci di qualsiasi operazione propria.

66. Calandra, moglie di Corrado di Monte Milone (5), aveva piedi e mano distorti, tanto che il suo corpo sembrava mostruoso piuttosto che umano. Accompagnata su una portantina alla tomba del beato, la donna affermò di aver visto una bellissima fanciulla che le avrebbe detto, con volto sereno: “Entra nel luogo dove sono custodite le reliquie di san Nicola”. Non appena la malata fu portata al sepolcro del santo, l’apparizione femminile scomparve. Presente fu allora la grazia divina che subito risanò la donna malata per i meriti del santo. Lei però, immemore di un beneficio tanto grande, tardò a dare quanto aveva promesso in voto. Durante una notte vide allora in sogno il beato Nicola, simile ad un bambino con l’abito dei frati eremitani, che le chiedeva come mai non avesse offerto quello che aveva promesso. La donna allora corretta da tale visione, tornò al sepolcro e adempì a ciò che nel voto aveva promesso.

67. Per i gloriosi meriti di questo santo, i sordi odono e i muti parlano (6). Accadde allora che un tale chiamato Cicco, oriundo della città di Ascoli, che era cieco e muto, apprendesse per mezzo di segni, come poté, dei miracoli del beato Nicola. Nel suo cuore nacque una devozione così grande da desiderare di andare quanto prima alla tomba del santo. Allora quelli che lo conoscevano e gli volevano bene decisero di accompagnarlo a Tolentino. Arrivarono dunque ad un colle vicino alla città, dal quale si vedeva la chiesa di Sant’Agostino, dalla parte dove il corpo santo riposa. Oh Dio, accresci la fede di coloro che sperano in te! C’era infatti tanta fede in quel muto che vista la chiesa cominciò a parlare e disse: “Beato Nicola, aiutami!”. Meravigliandosi di ciò i compagni lodarono Dio e accompagnarono al sepolcro del santo l’uomo liberato della sua infermità: con lui assolvono i voti fatti e dopo la pubblicazione del miracolo con gioia ritornarono a casa (7).

68. Matteo di Antonino di Monte Ulmo era stato colpito da una tale infermità agli orecchi da rimanere privo di udito da tre anni. Abbandonato dall’aiuto di qualsiasi medicina si raccomandò ai meriti del santo e subito le orecchie gli si riaprirono per riguadagnargli la facoltà che aveva perduto. Baldo di San Severino, che era sordomuto dalla nascita, dalla grande frequentazione della tomba di Nicola da parte della gente del suo paese, venne a sapere del pellegrinaggio al sepolcro del santo (8) e maturando una devozione piena si recò con altri a visitarlo. Proprio mentre vegliava al sepolcro cominciò a parlare, lui che era muto, e ad udire, lui che era sordo. Constatandolo i suoi amici si inginocchiarono e non cessavano di lodare Dio, che così onora coloro che lo servono.

69. Vi era un altro, di Ascoli, il quale non aveva un nome ma era chiamato il Muto a causa della malattia della loquela e dell’udito che lo affliggeva dalla nascita. Si trovava con alcuni conoscenti di Falerona (della diocesi di Fermo) e da loro, spinti dalla carità che precorre (9), fu condotto alla tomba di san Nicola. Giuntovi, l’uomo supplicava il santo senza sosta, con quei segni che riusciva a fare; pieno di fede, gesticolava con le braccia e con le ginocchia. Colui che solo fa grandi meraviglie (10) contemplò dal cielo (11) la sua fede e la devozione di coloro che lo avevano accompagnato e condotto fin lì: ecco allora che subito fu aperta la bocca e furono aperte le orecchie al muto, a lui che ora esclamava e diceva (12): ” Ti rendo grazia Nicola santissimo, perché mi hai liberato (13)”. Da quel momento gli fu dato un nome e fu chiamato Giovanni, perché aveva ricevuto da Nicola grazia su grazia (14).

70. Cristo Gesù, sposo dell’inclita madre Chiesa, così l’ama che sempre col concepimento di nuova prole la rende più grande, rinnovando i segni e i prodigi (15) per mezzo dei suoi santi, figli della Chiesa, affinché ella non abbia a sembrare sposa abbandonata, mancando del concepimento di santissima prole, come sterile e inferma. Leggiamo così che molti fra i santi resuscitarono i morti, ma dobbiamo verificare che non solo il beato Nicolò ne resuscitò molti, ma nei modi più strani. Ad un tale, cittadino di Tolentino, chiamato Tommaso, nacque un figlio mezzo morto: le ostetriche furono tarde al sacro lavacro così non riuscirono a portare l’acqua del battesimo, prima che il fanciullo fosse del tutto privo di vita. La natura fece però in questo caso una cosa orrenda, perché esalata l’anima la carne del neonato rimase senza distinzione di membra, alla maniera di una massa che toccata dalla mano sembrava poter assumere forme diverse. Gridò allora il padre e gridò anche la nonna e offrirono le loro preghiere al beato Nicola affinché almeno ottenesse da Dio che non si dicesse che la moglie aveva generato questa cosa orrenda e mostruosa, che quell’anima non fosse dannata, che l’anima fosse recuperata al corpo e si potessero distinguere le membra e che poi fosse fatta la volontà di Dio. Il santo, non trascurando queste invocazioni, per le loro preghiere restituì l’anima al corpo mostruoso e allora la carne appropriatamente disposta nelle membra fu restituita al suo naturale diritto (16).

71. Un tale Tommaso ebbe una figlia chiamata Cecca, la quale fu per lungo tempo colpita da una malattia così grave che a giudizio di tutti ne sarebbe morta. Fra l’altro era rimasta cinquanta giorni e cinquanta notti senza mangiare e bere. Erano al suo capezzale i frati Minori, presso i quali aveva scelto la sua sepoltura, e il padre aveva appena dato segno che la prendessero per portarla via, quando improvvisamente la memoria del beato Nicola si impossessò del suo cuore. A lui egli affidò, con profondissima intenzione, la figlia. Cosa stupenda! Opera davvero apostolica: colei che prima era pianta come morta, improvvisamente è restituita viva e vegeta agli abbracci paterni.

72. Lippo di Lucio Gentile aveva una moglie di nome Mira. Durante tutto un anno Mira aveva sofferto per forti febbri; alla fine i medici persero ogni speranza di guarirla. La donna, ormai moribonda, fu munita dei sacramenti della Chiesa e dell’Estrema Unzione. Fu quindi lavata con acqua, così come è consuetudine per i corpi che devono essere sepolti. Il marito che era assente venne chiamato e non si aspettava altro che lui ad eseguire la sepoltura. Ma ecco che l’uomo arrivò e dichiarò di aver affidato sua moglie al beato Nicola con una promessa solenne, aggiungendo di non aver dubbi sulla sua misericordia. A questo parole Mira si svegliò e fu restituita all’amore del marito.

73. Niva Cordi, della città di Macerata ebbe un figlio chiamato Giainidio, il quale aveva preso la via di tutta la carne: non si muoveva né dava segno di vita; non poteva parlare e giaceva esanime a letto. Che altro? Poiché tutti lo consideravano concordemente morto, si preparavano le esequie e si dispose il sepolcro perché il cadavere potesse esservi trasportato. La madre allora si rifugiò nell’aiuto divino emise un voto e con preghiere raccomandò il figlio al beato Nicola: per questo il fanciullo resuscitò e Dio fu proclamato glorioso nei suoi santi (17).

Giovanna, moglie di Guglielmo di Beluti ebbe un figlio di nome Ciceo. Anche costui, secondo la legge che comanda ogni carne, concluse i suoi giorni; fu dunque avvolto nelle bende come è d’uso per coloro che stanno per essere sepolti. La madre era disperata per la morte del ragazzo tanto che piangeva schiaffeggiandosi violentemente. Le venne allora in mente di raccomandare il figlio già morto ai meriti del beato Nicola: così fece e d’improvviso colui che giaceva morto, vivo parlò con la madre.

74. Giliolo di Parma ebbe un figlio chiamato Venturino (18) che per molti giorni fu oppresso da continue febbri, finché i medici non poterono più nulla e lo lasciarono morente. L’uomo venne poi visitato da alcuni religiosi e da alcuni membri della curia, i quali constatandone la morte, disposero la conveniente sepoltura. Io stesso ho conosciuto la signora Bertina, moglie di quel maceratese che preparava gli unguenti per la sepoltura; ella mi ha riferito che per tutta la notte in cui il giovane morì, suo marito si era dedicato alla disposizione della cera e delle altre cose necessarie al decoro della corpo morto e che poi lei fino al mattino con altre donne aveva vegliato, custodendo il feretro. Intanto però la moglie di Venturino piangeva lacrime amare per il dolore, invocando il beato Nicola, affinché restituisse l’uomo alla vita, che gli era stata tolta.

75. Lei pregava in camera sua, mentre il marito giaceva morto nell’atrio, e vide arrivare dalla finestra della stanza un improvviso splendore di fronte al quale piena di gioia esclamò: “Evviva – o santissimo Nicola – aiuta il tuo servo in quest’ora”. Fu allora che le vennero incontro le persone che erano incaricate della custodia del morto, dicendole: “Non piangere più perché tuo marito vive (19)! Noi che eravamo intorno a lui lo abbiamo sentito dire: “Che cosa grande, che cosa bella Dio mio!””. La moglie accorse allora piena di gioia: colui che prima piangeva morto lo abbraccia ora restituito alla vita. Più tardi alcuni curiosi magnati gli chiesero: “Tu sostieni di esser tornato dalla morte alla vita per i meriti del beato Nicola: dicci allora dove eri mentre la tua anima non si trovava nel corpo”.

76. Lui rispose loro: “Dopo aver lasciato questa vita, giunsi ad un prato ornato da erbe verdeggianti e da fiori profumati, qui si trovavano dei sedili adatti alla sosta degli uomini, cosparsi di fiori profumati. Tutte queste cose mi appagavano completamente mentre stavo lì seduto, riposandomi. Anzi, la sosta mi piaceva così tanto che, ripieno di tanta dolcezza, non avrei potuto desiderare niente di più. Arrivò a questo punto un fanciullo bellissimo e per il suo arrivo io divenni triste, quasi presentendo che per il suo intervento sarei stato privato della mia gioia. A questo punto il fanciullo salì sulle mie spalle e mi sembrò straordinariamente pesante, quasi ad indicarmi la pesantezza della vita alla quale veniva a ricondurmi”.

77. “Implorato da me con molte preghiere, scese dalle mie spalle a terra, rosseggiava in volto e splendeva nelle sue vesti; anzi il raggio del suo splendore mi avvolse così che la mia anima sembrava trovarsi tra i raggi solari. Dalla sua bocca procedeva una voce di lode e di canto; me ne veniva una gioia che non soltanto mi fece dimenticare le altre gioie provate nel prato di cui ho parlato, ma che già mi faceva partecipare alle gioie della vita eterna. Ammirato gli chiesi chi fosse e lui mi rispose: “Sono l’angelo assegnato alla tua custodia”. Dimentico della felicità e della gioia di questo splendore, di questo canto e di questa conversazione, ritornai alla vita che avevo lasciato e persi quanto avevo”.

78. Una donna di San Genesio si recò sul fiume Moso (20), nel luogo dove doveva lavare i panni, portandosi dietro il figlio piccolino. L’incauto fanciullo sommerso dal fiume affogò. Il cadavere andò ad incepparsi nella ruota del vicino mulino e la gente del mulino si meravigliava che la ruota non funzionasse come al solito. Tutti chiamano, cercano, odono la donna che piange e dice: “San Nicola, dov’è mio figlio che spesso affidai alla tua custodia?”. Esplorando il fiume trovano il cadavere del bambino annegato. La madre è afflitta dal maggior dolore e invoca il beato Nicola perché resusciti suo figlio, né si aspetta: lo spirito ritorna al corpo, il fanciullo è risanato e con la madre e gli altri torna a casa.

79. Un tale del Castello di Belforte, padre di famiglia, era terribilmente turbato dai modi della moglie. Un giorno, approfittando del fatto che lei e il resto della famiglia non si trovavano in casa, preso nella disperazione si impiccò. Quando le donne, rientrando a casa, videro il cadavere, cominciarono a gridare. Disteso a terra il corpo rivolsero le loro preghiere al beato Nicola. Ai clamori delle donne il morto si riprese, lodando e glorificando il beato Nicola, che lo aveva liberato da una turpe morte per farlo vivere ancora.

80. Due fratelli, Mizulo e Vanni, che viaggiavano insieme attraverso il territorio della città dell’Aquila, provenendo dalla città di Osimo, in ragione di un omicidio commesso in quei giorni, vennero presi e condotti dal capitano della città per essere puniti. Benché essi cercassero di giustificarsi riguardo al delitto a loro attribuito, riferendo per altro la verità dei fatti, costretti tuttavia a durissimi tormenti, preferendo piuttosto morire che vivere in mezzo alle sofferenze, dichiararono contro se stessi (cosa che non avrebbero mai pensato di poter fare) di aver commesso il delitto. Per questa ragione furono ritenuti degni di morte e condannati all’impiccagione. I due fratelli invocarono la misericordia di Dio come innocenti e si affidarono ai meriti del beato Nicola. Che dire di più? Vanni fu sospeso alla corda e dopo quattro giorni vennero i ministri per uccidere anche Mizullo, l’altro fratello, con uguale morte: fu allora che si resero conto del fatto che Vanni, che pensavano ormai puzzasse sulla forca, perché morto da quattro giorni [1], era ancora vivo. Deposto perciò dal patibolo, riconosciuta la virtù di Dio e del beato Nicola, insieme al fratello venne liberato da colui che aveva autorità di farlo.

81. Pietro Bonagrazia di Matelca fu accusato per aver voluto tradire il suo stesso campo in favore dei nemici: venne infine catturato insieme ai compagni che apparivano complici di questo fatto e venne affidato al carcere; ugualmente tutti gli altri vennero legati con catene di ferro e con ceppi. Dopo un mese venne stabilita la sentenza secondo la quale sarebbero dovuti morire tutti per impiccagione. Essi intanto non cessavano di implorare l’intercessione del beato Nicola ed egli durante la notte seguente, avvicinandosi spezzò le loro catene e accompagnatili fuori dalla fortezza disse: ” Io sono Nicola, che voi avete invocato con tanta tenera devozione: questa è la vostra via, dirigetevi al mio sepolcro ed adempite i vostri voti “.

82. Un tale da San Genesio per motivi di commercio navigava con la madre e con molti altri: sorta una tempesta la loro nave sembrava dover essere sommersa. Fra i naviganti si manifestò una diversa devozione a diversi santi: quattro santi furono implorati da tutti gli altri, ma quelli che venivano da San Genesio, per la vicinanza al luogo nel quale era nato il beato Nicola, invocavano lui con grande devozione, perché venisse in loro soccorso. Dopo aver invocato i singoli santi la moltitudine dei naviganti offrì in voto un solo cero; ed ecco d’improvviso nel cielo sopra il mare apparvero d’improvviso cinque ceri accesi, la cui fiamma non poteva essere spenta dal vento pur così violento. Si stava compiendo una cosa meravigliosa perché i ceri s’innalzavano e si abbassavano; con evidente movimento essi procedevano come se fossero mossi da uno spirito vivente. Tutti riconoscevano senza dubbio il significato dell’avvenimento, perché i ceri erano mossi in modo mirabile dalla virtù di coloro la cui potenza era stata invocata.

83. Fu cosa bella, perché in essa due segni venivano confermati e due prodigi si compivano, prima di tutto perché i ceri erano mossi da una virtù angelica, a somiglianza della colonna di fuoco e della nube del Vecchio Testamento [2]; poi perché in favore del santo non ancora canonizzato dalla Chiesa militante, un quinto cero era mostrato per mezzo della Chiesa trionfante, affinché fosse prontamente compreso che doveva venir onorato in terra, colui che in maniera tanto eccellente si manifestava in cielo [3]. Udite, di grazia, l’effetto di questa mirabile apparizione: mentre i ceri insieme si muovono e splendono come si è detto, la tempesta si placa, viene il sereno e quelli che prima sembravano esposti alla morte, restituiti alla vita non cessano di lodare e magnificare Dio nei suoi santi.

Poiché [4] davvero di questo santo si conosce un numero quasi infinito di miracoli, pongo fine al loro racconto, non senza attestare di aver visto, di aver ascoltato di aver letto documenti in cui si riferiva come egli avesse cacciato demoni, avesse operato guarigioni di altre diverse infermità, tante e tali che stancato per la fatica, io lasciai ad altri di prendere nota e dettare, attribuendo tuttavia l’investigazione di questi miracoli e la loro trascrizione ad onore di colui che coronò con onore e gloria questo santo e che vive e regna con il Padre e lo Spirito santo, nei secoli dei secoli.

Amen.

Note

(1) – Ioh. 11, 39

(2) – Ex. 13, 21

(3) – Leggiamo qui un altro esplicito riferimento all’impegno dell’Ordine degli Agostiniani per la canonizzazione di Nicola, impegno che fu l’occasione per la scrittura della sua Vita.

(4) – Inizia qui la sequenza finale che non fu pubblicata dal Mombrizio; essa è invece attestata nel manoscritto senese e fu riportata in nota nell’edizione degli Acta Sanctorum.