Sono i giorni delle visite annuali del parroco alle famiglie e delle benedizioni pasquali.

Anche se non manca mai la gentilezza, sempre più spesso la risposta che mi raggiunge da un terrazzo o da una finestra, da un citofono o da una porta appena socchiusa, è sempre la stessa: “No, grazie”, “Non siamo religiosi”, “Non mi interessa”, oppure semplicemente “No”.

E non sono sempre arabi, cinesi, africani, ma italiani che forse sono passati nelle nostre chiese, 
nei nostri catechismi e nei gruppi giovanili parrocchiali.

Che cosa è successo? Che cosa li ha portati a questo rifiuto dell’incontro con il parroco?

Certamente il lato negativo della nostra vita cristiana, della chiesa, dei preti, e la dissoluzione di un cristianesimo conformista, di maggioranza

Si potrebbe aggiungere la perdita o l’annebbiamento della dimensione spirituale e comunitaria della vita, fagocitata dalla tecnologia e stordita dall’individualismo, e ciascuno potrebbe aggiungere altre considerazioni che ritiene più convincenti.

Accanto a queste chiusure, però, trovo anche nuove aperture, sorpreso da persone che ritrovano una relazione magari solo momentanea, ma comunque un sorriso e una stretta di mano che fa sentire meno distanti.

E allora rimane in sospeso l’interrogativo: vale la pena tutto questo impegno di girare, di bussare a tutte le porte?

Non è forse meglio puntare a costruire rapporti continuativi di buon vicinato, fatti di conoscenza e di aiuto tra vicini piuttosto che una visita lampo di uno, il parroco, che per molti è e rimane uno “sconosciuto”?

Costruire una comunità parrocchiale è un obiettivo che portiamo nel cuore da sempre, ma che cos’è una parrocchia oggi?

Le domande si accumulano e le risposte non vengono, eppure il tempo incalza e la storia procede.

don Renato